È una lettera mai scritta, mai inviata, mai ricevuta perché è la lettera che avrebbe potuto scrivere Rosa Luxemburg l’otto marzo del millenovecentoquarantasette* a tutte le cittadine sovietiche e a tutti i cittadini sovietici dello sprawl tra Mosca e Berlino per i trenta anni della rivoluzione d’Ottobre e i ventitrè anni di pace. Questa lettera, spedita in una busta colore rosso garofano, avrebbe potuto portare il suo timbro e il suo autografo, di presidente dello sprawl tra Mosca e Berlino.
Perché se le cose fossero andate diversamente – a partire dai contrasti tra Lenin e Martov nell’Assemblea costituente del 1917 fino a quel 1924 in cui Koba il robot positronico viene espulso dalla Federazione delle repubbliche socialiste sovietiche – Rosa Luxemburg sarebbe potuta dieventare la presidente di tutte e tutti da Düsseldorf a Minsk, da Vienna a Pietrogrado, da Kiev ad Amburgo. E quella lettera sarebbe potuta arrivare davvero. A rileggerla oggi è fin troppo facile e doloroso immaginare che quel che succede da più di un mese da Acquisgrana a Vladivostok, dalla Ruhr alle pianure ucraine, dai porti anseatici alla Crimea non sarebbe successo.
L’ultimo pensiero di Rosa Luxemburg, a chiusura delle due pagine della lettera che non c’è, dice così:
“Vedete, io ormai sono anziana, sono moderata,, non sono più la spartachista di un tempo, non ne ho bisogno, voi non avete bisogno che io lo sia, vedete, ho sempre prediletto i ragionamenti all’azione, lo studio e la teoria alla semplificazione dell’istinto e dei gesti, ho prediletto sempre il pensiero, ma oggi vi scrivo, semplicemente, mie amate concittadine sovietiche, miei adorati concittadini sovietici, che mai nulla è perduto, anche dalle tenebre più oscure, dalla morte, dalla sconfitta si può rifiorire, e noi oggi festeggiamo questo: che si può risorgere sempre.”
*Per chi non lo sapesse, Rosa Luxembrug è stata rapita, torturata e assassinata dai Freikorps a Berlino il 15 gennaio 1919.
Diciamolo in negativo (è maledattemente più facile) usando le espressioni oracolari con cui Lacan conclude il Seminario VII: Alessandro arrivato a Persepoli parla come Hitler a Parigi. Sono venuto a liberarvi da x o da y (le discrepanze di preambolo non contano). Segue il messaggio decisivo: continuate a lavorare, che il lavoro non si fermi. Intendiamoci bene, il cambiamento non deve diventare l’occasione per manifestare il benché minimo desiderio. Per i desideri, ripassate. Possono aspettare. Fine dell’oracolo.
Erano nove anni fa quando Paul Mason aveva pensato che la rivoluzione stesse per accadere ovunque. Per Mark Fisher non era affatto così: per lui, nonostante le rivolte del 2011, il realismo capitalista continuava a esistere. D’accordo con lui era anche il mio amico D. che aveva sintetizzato il tutto con un calco del conosciutissimo meme “Keep calma and..”, utilizzato per qualche anno come bio del suo account Twitter.
Keep calm and vai a lavorà: la rivoluzione troppo spesso termina così.
Andrebbe detto l’esatto contrario: crescerai e la vita sarà ancora più complicata, diventerai adulto e non capirai niente, goditi questo momento, goditi i giudizi nati così, in scioltezza, a cazzo di cane; goditi i mille errori, le mille spericolatezze, le mille improvvisazioni del cuore; sorridi a chi ti considera ingenuo, a chi ti dice: «Sei un immaturo»; non ascoltare chi ti rinfaccia scelte azzardate e passi falsi, un giorno sarai tu a rinfacciarli a te stesso, sarai tu. E sarà dolorosissimo.
Una delle rare lapidi contro il massacro che fu la prima guerra mondiale si trova in piazza a Giulianova, in Abruzzo. Fu messa lì 100 anni fa proprio oggi.
“Ai proletari vittime della guerra borghese I reduci della Lega Proletaria memori 2 Maggio 1920″
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