Per gli Affluente: un video

Affluente - Libera fameLa voce è di Carlo Cannella, fondatore degli Affluente, ascolano in terra d’Olanda, scrittore et punk  da tempi mai sospetti.
Poi ci sono le immagini di Piero, Frankie, Giggi, Francesco e Gabriele che ho ripreso in due concerti (quello al centro sociale di Ancona per il varo di MarcheHC e quello alla festa di Liberazione in Ascoli). A far da collante al tutto “Meet Joe King” del ’49 e “It’s Everybody’s Business” del ’54, due cartoni animati di pura propaganda yankee riutilizzati e rimontati per fini totalmente diversi.
Per parlare di Pavese, urlare in punk-hc, rispondere no.

Passate su Kinobit: lo trovate lì, il mio contributo video per “Libera fame”.

Crapino

[Questo è il mio contributo per “Il post sotto l’albero 2006”, la raccolta che potete scaricare qui (.pdf, 1 MB circa) e che Sir Squonk cura ogni anno con pazienza e precisione. Doti che sono preziose e utilissime, specie con i blogger ritardatari e scriteriati come me]

“Natale, ci mancava anche questa”
E poi non sembra nemmeno Natale, almeno a giudicare dal tempo. Fa caldo, a mezzogiorno in strada ci son quasi diciotto gradi.
A quest’ora Crapino ha appena finito la cacata del buon risveglio e se ne sta fermo in piedi di fronte allo specchio del bagno. Secco e spettinato, appoggia pollice e indice sul rene destro e si abbassa sul rubinetto del lavandino, accogliendo in bocca quanta più acqua possibile, cercando di non inghiottirla. Poi serra le labbra, si tira su e si osserva le gote, gonfie come quelle d’un rospo in secca sull’asfalto. Sta così, in finta apnea, finché non inizia a fargli male dietro le orecchie, come quando ridi troppo e sembra che qualcuno ti stringa per la collottola come i gatti. Allora sputa l’acqua nel lavandino, ripiglia fiato e, respirando a bocca aperta, s’immagina la narcosi da azoto che può capitare ai sub e quanto deve essere stupido e formidabile trovarsi sotto trenta metri d’acqua con la sbornia addosso.
Mentre si pettina perde tempo a osservarsi la barba, col bianco che vince sul nero in ottantamila mosse. Poi ci sarebbe anche l’uccello che si muove come un alfiere, il ginocchio sinistro pazzo come un cavallo e il catarro che, se respira profondamente, gli si arrampica in bocca appastandosi ai denti – otto pedoni allineati alla meno peggio, frastagliati dall’usura, disertori del bianco e del nero.
Ma ora è tempo d’uscire di casa. Ci vuole un caffè, una sigaretta e il sole. Al resto penseranno i becchini e chi gli starà appresso.

“Figurati, bimbo, che mi sembrava che quest’anno Natale fosse già passato”
Crapino s’accomoda meglio con le spalle contro il muro del palazzo di fronte a casa sua. Il quartiere è tutto agghindato di luci intermittenti e ci son certe vetrine di negozi che non sfigurerebbero neanche a Milano, ma quello che importa è che sopra di lui c’è il sole di dicembre, appena un po’ meno arzillo che d’estate.
“Mi piacerebbe regalargli un lettore di cd. O un ipod, di quelli piccolini”
“Non sai niente di femmine. Non devi trattarle con troppo distacco, ma nemmeno stargli addosso ”
“E tu parli sempre che non si capisce niente, Crapino. Io devo solo trovare un regalo che non costi tanto”
Crapino si cerca una sigaretta in tasca, non la trova e guarda il ragazzetto che gli sta di fronte: è rimasto coi palmi rivolti in su e la faccia di chi si aspetta la verità.
“Vammi a comprare le sigarette, vai. Dopo te lo spiego”
“Però poi mi dai una sigaretta”
“Levati dai coglioni, muoviti. E pigliami anche un Campari”
“Dammi i soldi”
Cinque euro e lo vede schizzare verso il bar dietro l’angolo. Dovrebbe chiamarsi Gionni o come cazzo battezzavano i figli una decina d’anni fa.
Ritorna in meno d’un minuto col pacchetto già aperto e il Campari che sciaborda in un bicchiere da birra.
“Chi ti ha detto di aprirle?”
“Dai, Crapino, non rompere..”
“Ne manca una, ridammi la sigaretta e porta rispetto, stronzetto”
“Eddai..”
“Dammi la sigaretta che hai preso e sta’ zitto e basta”
“Come sei vecchio, Crapino, si vede che non capisci più niente”
“Vecchia sarà quella rincoglionita della tu’ mamma che non t’ha insegnato niente e ti manda in giro di mattina invece che a scuola”
“Lo vedi che non capisci niente? Ci sono le vacanze di Natale, le scuole sono chiuse”
Gli occhi gli si alzano in alto verso le luminarie ancora spente, la bocca gli si storce in un sorriso sghembo, si stringe una mano come fosse un guanto; questo piccolo Gionni deve ancora imparare a dosare le espressioni e la mimica. Imparerà presto, se non vuol pigliare troppo bastonate in giro per il mondo di merda che gli sta lasciando il su’ babbo e quelli che c’hanno armeggiato prima di lui.
“Sì, va bene, ora però ridammi la sigaretta”

E qui arriva lei.
“Chi fuma fa davvero schifo! E’ uno schifoso! Mi fanno proprio schifo quelli che fumano. Puuuuah, che schifo!”
Una bambina ancora più piccola: avrà cinque-sei anni, tutta vestita a festa, coi capelli castani e una ghigna che spaventerebbe un suocera. Guarda Crapino, la sigaretta che gli pende dalle labbra.
Poi punta il ragazzetto e gli dice: “Tuo nonno fa schifo. Non gli devi stare accanto. Puzza di fumo” e se ne va.

“Sarà mica quella la tua fidanzatina?”
Gionni non fa un gesto, gli occhi gli si fissano su un punto lontano, oltre le vacanze, Santo Stefano, i botti e i compiti da finire.
Dice solo: “No”.
Poi tira fuori dalla tasca del giubbino la sigaretta rubata e la porge a Crapino.

Il sangue trasporta gas: oltre a ossigeno e anidride carbonica, in continuo viavai dai polmoni ai tessuti che ci fasciano stretti, ci sarebbe anche anche l’ossido di azoto, un gas incolore che brucia gli occhi e fora i polmoni. Solo che è tutto, davvero tutto così ben nascosto.

Libera fame

“D’un tratto gridò
che non era il destino se il mondo soffriva,
se la luce del sole strappava bestemmie:
era l’uomo, colpevole. Almeno potercene andare
far libera fame, ripondere no
a una vita che adopera amore e pietà,
la famiglia, il pezzetto di terra a legarci le mani”

(C. Pavese, “Fumatori di carta”, 1934)

Libera fame - AffluenteSono schieratissimo: sono un amico di Carlo, di Piero e degli Affluente. Sono di parte, e con orgoglio. Quest’estate poi c’ho avuto pure il culo di essere stato invitato a scrivere il testo d’una canzone per il loro nuovo disco. E’ stato così che ho provato a mischiare Cesare Pavese e il punk hardcore: ne è uscita “Libera fame” che poi Carlo ha scelto – addirittura – come titolo del cd in uscita in questi giorni per Soa Records.
Nonostante questo, io ho lo 0.1% di merito: tutto il resto va a loro, alla loro storia, alla sana attitudine di chi riesce ancora – e lo fa da molti anni – a coinvolgere e a far appassionare chi vuole ancora che la musica sia anche impegno, disperazione, follia, mucchi selvaggi, ossa rotte e rutti in faccia alla borghesia, ai poser di turno e a chi non ci crede più.
Piero, Frankie, Giggi, Gabriele e Francesco non li vedrete mai su MTV: il motivo dovreste averlo capito. Sabato prossimo invece saranno al Villaggio Globale di Roma, sul palco prima dei Discharge.

Anche per questo comprate il cd, tirchiacci di merda: costa 10 euro e vi ricorderà della brigantessa.

L’impaginazione al potere

“Anche la creatività hai suoi bioritmi”
(quelli de “il manifesto”)

Buona la prima! Le migliori cento prime pagineA via Tomacelli continua il problema pecuniario (decisi due anni di cassa integrazione a rotazione per i soci-lavoratori). I lettori e le lettrici empatizzanti hanno fatto tanto, raccogliendo per il quotidiano comunista 1 milione e 700mila euro in solo quattro mesi e evitando così sia la chiusura sia la riduzione in termini di qualità/quantità.

Oggi, un modo che c’hai, tra gli altri, di contribuire potrebbe essere quello d’andare in edicola, tirar fuori quindici euro e comprare la raccolta (dal 1996 al 2005) di prime pagine de il manifesto.

Leggendola scoprirai, se ancora non lo sai, chi è che fa i titoli di prima.
Per cercare di dire ogni giorno almeno una cosa forte, chiara, vivace.
Come si fa con i blog, verrebbe da pensare.

Fincipit: 3 per Dosto

Via Zu, s’apprende di questo mirabile esempio di viral-post attivo: l’ha ‘nventato e io che mi pensavo, si chiama Ogni inizio è una fine (o Fincipit) e è quasi impossibile non provare.
Ecco i miei tre cents, Dosto Re-ending:

“Era una notte incantevole, una di quelle notti, come ci possono capitare solo quando siamo giovani, caro elettore. Ma da quando il petrolio è terminato (e Veltroni è in Africa) ognuno se ne sta chiuso in casa, seduto sul televisore”
(F. Dostoevskij “Le notti bianche”)

“Al principio di luglio, con tempo caldissimo, verso sera, un giovane scese dalla sua stanzuccia, che aveva in subaffitto nel vicolo di S., sulla strada e lentamente, come irresoluto, si diresse verso il ponte di K..
Egli non riuscì a scansare l’incontro con la sua padrona per la scala. La donna lo portò in camera sua e, dopo avergli ricordato il forte indebitamento che lo studente aveva nei suoi confronti, si spogliò e lo obbligò a fare altrettanto. Due ore dopo, a letto, decidevano di partire per l’Europa e lasciare San Pietroburgo”
*
(F. Dostoevskij “Delitto e castigo”)

“Sono un uomo malato… Sono un uomo maligno. Non sono un uomo attraente. Credo che mi faccia male il fegato. Un medico mi ha controllato la pressione, mi hanno tenuto all’ospedale sotto osservazione una notte, ma forse già oggi torno a casa”
[update: “E sabato sarò in piazza” ]

(F. Dostoevskij “Memorie del sottosuolo”)

*sì, lo so, c’è un’incongruenza temporale, ma a me piaceva così.

Uccidete il lunedi

Su “Uccidete la democrazia!” ti conviene proprio che leggi questo Report-post della Cri che è stata alla presentazione del dvd di Beppe Cremagnani e Enrico Deaglio. Ti sarà molto utile per capire in che stato versiamo o dove potremmo andare a arenarci.

E’ lunedi: fai che ti viene pure in mente Feyerabend quando dice che “data una norma qualsiasi, per quanto fondamentale o necessaria essa sia per la scienza, ci sono sempre circostanze nelle quali è opportuno non solo ignorare la norma, ma adottare il suo opposto”.

Sarà che il nostro sistema economico-politico sembra privelegiare altri metodi e non si accorge della distanza enorme che separa le sue leggi dai bisogni reali della comunità che lo vota (sempre più in bianco).
In molte occasioni diamo l’impressione di una democrazia davvero logora: come quando si cerca di nascondere sotto il ghigno un pensiero ancora più stupido e dannoso che affonda le sue radici nella ridicola ammissione del “è una cultura diversa, si ammazzano fra loro a proprio modo”.
In quel “loro” siamo compresi tutti, senza bisogno di confini nazionali.

[Sì, è un post para-filosofico per uccidere anche il lunedi]