Internet, 1930

Succede che leggendo un saggio scritto quasi 90 anni fa trovi una dozzina di righe che sembrano descrivere Internet e le connessioni del web meglio di un manuale o di un sito contemporaneo.
Sentite qua [corsivo mio]:

“Poco più di un anno fa, i sivigliani seguivano ora per ora, nei loro giornali popolari, quello che stava accadendo ad alcuni uomini vicino al Polo: sopra il fondo ardente della campagna betica scivolavano dunque ghiacciai alla deriva. Ogni lembo di terra non è più chiuso nella sua area geometrica ma, per molti effetti vitali, opera negli altri angoli del pianeta.
Secondo il principio fisico che le cose hanno la loro sede laddove operano, riconosceremo oggi, a qualunque punto del globo, la più reale ubiquità. Questa prossimità di ciò che è lontano, questa presenza di ciò che è assente, ha aumentato in proporzione prodigiosa l’orizzonte di ogni vita.”
(José Ortega y Gasset, “La ribellione delle masse”, 1930)

Il dubbio che mi rimane è quello se l’orizzonte della vita sia stato effettivamente ampliato o se invece sia stato costretto a una semplice simulazione di fronte allo schermo.
Ammetto che il dubbio mi viene quando sto troppo tempo online, quando il fuori viene oscurato da una nebbia di link e rimandi così densi e pieni che mi verrebbe solo voglia di aprire la finestra per sentire qualcosa a me fisicamente vicino, anche fosse solo il mugolìo delle stelle.

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[Immagine via Federico Gennari | twitter]

Di fronte alla fine

Luca Rastello

Ieri se ne è andato Luca Rastello. Questo estratto dal suo primo romanzo, “Piove all’insù”, l’ho stampato e tenuto appiccicato al muro per anni. Oggi lo incollo qui, perché altri lo scoprano – questo e gli altri suoi libri che ci restano.

“Chissà dove saremmo arrivati se avessimo puntato alla precisione, invece di accontentarci di quelle nostre astrazioni desideranti: avevamo così forte nelle viscere il malessere del mondo agonizzante che se ci fossimo armati di esattezza forse ne avremmo deciso noi le sorti. Ma ci bastava il linguaggio contorto e oscuro delle nostre emozioni. Uno dei nostri giornali ora titola così: La rivoluzione è finita, abbiamo vinto. È il pensiero più lucido di quella stagione. Ma pensare la fine con lucidità è biologicamente impossibile: puoi enunciarla, puoi pensare che dovresti pensarla, puoi avvicinarti come fanno i matematici, allontanandosi in realtà a distanze siderali, inserendo fra il pensato e l’impensabile infiniti pensieri sempre più piccoli, e ognuno di questi pensieri dice che arrivarci è impossibile.

Siamo di fronte alla fine, motore di ogni mercato, virtù delle banche, lacuna delle utopie: il denaro, nei suoi canali immateriali, conosce le regioni del tramonto e sa metterne a frutto le risorse. Noi, inadatti alla rivoluzione perché il luogo della rivoluzione è l’infinito, il futuro, sogno da figli dei fiori in tempo di benessere, svanito, noi passeremo dal potere infinito della nostra adolescenza carnale all’infinita frustrazione che muove al consumo. Di sè o di merci. E di vite come merci. Vite di morti, persi in grovigli di ribellione, furti d’appartamento, droghe pesanti, pistola, delusione o carriera. Alcuni finiranno per decidere che sopravvivere significa emergere, schiacciare, tagliare, votati infine alla regola della supremazia naturale, partiti da lontano per approdare al fascismo elementare della vita vissuta come un diritto del migliore, del più forte, della più bella”.

Industriale o dolcetto, no pasarán

C’è quello dolcetto: preciso, pulitino e a basso contenuto calorico, con la sua violenza passiva-aggressiva e la sua infantilizzazione. Un fascismo cupcakequello descritto  da Tom Whyman – ripreso e usato dalla maggior parte dei mass media che lo ovattano di flou e lo indorano di battutine.

Ma il belletto non può nascondere il suo legame con pratiche più concrete e rozze: Giovanni Agnelli che conclude un discorso con “viva il duce”, la Thyssen Krupp e la IG Faber sponsor del nazismo, gli armatori greci e Alba Dorata. È questo che viene ricostruito in Fascism Inc: gli autori di Debtocracy e Catastroika, nel loro terzo documentario interamente prodotto dal basso, analizzano e raccontano il rapporto e l’appoggio dei padroni del vapore ai dispotismi novecenteschi e a quelli più contemporanei; dall’Italia di Mussolini alla Grecia dell’occupazione nazista, dalla dittatura dei colonnelli fino ad oggi.
Sia dolcetto o sia industriale, il fascismo economico – come lo chiamava Polany – prospera nella crisi e nelle politiche di austerity che si trovano davanti e non dietro di noi.

Buona Liberazione e occhi aperti.

Il bianco, il bravuomo e Medium

[Non l’ho scritto su Medium perché mi è venuto in mente adesso. Così, invece di aggiornare quel post, ho deciso di scriverlo qui, anche in rispetto al mio luogo digitale più vecchio]

È un discorso che riguarda gli spazi bianchi e la valorizzazione della parola scritta a schermo; è un po’ una pippa mentale che ha a che fare con le grazie di un font e l’interlinea del testo, la spaziatura tra lettere e il rientro a capo. Tutte cose che potrebbero far pensare al mezzo più antico, la carta, e che invece si ripropongono tutte, aumentate, nella scrittura a 72 dpi.

Tutte cose a cui arsenio bravuomo è sensibile e che cura da anni, in ogni cambio d’interfaccia che gli abbia visto fare.
Lui sa che il bianco intorno è importante anche nel web e che è inutile intestardirsi nel voler usare font improbabili, disgraziati, perché l’occhio di chi legge ti sfancula in quattro righe, appena si accorge che un carattere più consono al monitor gli avrebbe evitato fatiche inutili.
Non so se il fratello di reggimento conosca Medium ma so che in fatto di interfacce è sempre stato un precursore. Così oggi quando ho letto il suo ultimo post, mi sono reso conto che il due colonne ben fornito di bianco adottato da Medium lui ce l’ha da diverso tempo.
Non mi sorprende: l’ars’ è l’unico che io conosca che aveva un blog quando in Italia non si conosceva ancora il termine.
E poi il claim di Medium: “Not too big, not too small” si adatta alla perfezione all’adagio bravuomesco del “non esagerare mai. con niente. e quando dico niente intendo tutto”

Un martedi da Leone

Erano diversi anni che non scrivevo più di cose mie private sul blog.
Anzi, a dirlo all’antica, sul web log.
Per lasciare una traccia in Rete, questo voglio rimanga scritto qui, in tutta la sua potenza e fragilità digitale:

stamattina è nato Valerio, il mi’ figliolo.
E sono contento matto.
Noi tre in un post e tutto quello che verrà.

E un’altra cosa, tanto per agganciarsi all’attualità e ai royalbaby del momento:
“Noi viviamo per calpestare i re”
(W. Shakespeare, “Enrico IV”)

Dài Valerio, che si parte.

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