Le cose essenziali

Oggi mentre parlavo al telefono con Gianni, senza che nemmeno me ne rendessi conto, ho ripetuto pari pari la frase finale di questo dialogo tra il fotografo Marco e il suo editore Guy Payrac, due personaggi de “Lo scontro quotidiano – vol. 2” di Manu Larcenet.

(da pagina 31)

Marco: Lei è un fotografo?

Guy Payrac:  No, prima di diventare editore ero giornalista, ma mi piacciono le immagini. Raccontano sia gli uomini che rappresentano sia quelli che le hanno create. Perché in fondo raccontano sempre la parte più segreta di un uomo.

Marco
: Mi piace l’idea di riprodurmi attraverso le immagini. Anzi direi che mi conosco di più grazie alla carta impressa che non nella mia fisicità. Se in parte divento quello che fotografo, allora l’immagine avrà un suo interesse. Se invece non mi cambia, allora non serve a niente, è sprecata. Oggi le immagini rivestono i prodotti di consumo, abbelliscono gli oggetti, rendono attraenti idee discutibili, ma tutto questo bersagliamento non ci fa cambiare, non ci insegna niente.

Guy Payrac: Non durerà. Non potremo fare a meno ancora a lungo delle cose essenziali.

Il mio quartino d’ottimismo arriva tutto da quest’ultima frase.
Dai, dai, dai.

Format e sostanza

Sto cazzo de santoro ha fatto il più grande evento dell’internet in Italia e noi no.
(Diego Zoro Bianchi via FriendFeed)

Non sarà l’avvio di una vicina rivoluzione, togliamogli subito il carattere palingenetico e rimaniamo coi piedi nella fanga. Nello stesso tempo, tuttavia, non giova valutarlo solo usando come bilancia la capacità di spostare voti o di alzare la colonnina dell’Auditel o dei contatti contemporanei. Raiperunanotte potrebbe essere stata un’altra cosa. Una cosa ulteriore.

Ricordatevi del Nilo e di quel che vi davano per buono alle elementari. Il fiume spesso rompeva gli argini inondando i terreni intorno: quando le acque si ritiravano lasciavano uno strato di limo che contribuiva a rendere le terre più fertili e meglio coltivabili.

Raiperunanotte potrebbe essere stato un fiume che rompendo gli argini del percorso usuale, ha esondato in territori che usualmente non sono attraversati dal suo flusso. Quando rientrerà nell’alveo del palinsesto della RAI ridiventando Annozero, tra i lasciti più preziosi potrebbe esserci l’avere dimostrato che la media convergence è realizzabile e che televisione, web, radio e gruppi di ascolto, in mutuo completamento, possono dare vita a incroci finora usati poco o male.1 Questo potrebbe rivelarsi ancora più proficuo quando si proverà a diffondere contenuti provenienti da più media – e non da uno solo con gli altri a fargli da rilancio o prima interazione.

Riguardo al linguaggio da usare e agli strumenti necessari affinché si allarghi la possibilità di creare contenuti capaci di raccontare la realtà e le storie che la attraversano sono d’accordo con quanto ha scritto oggi Biccio in  “Santoro, Grillo, e la riduzione del raccontabile”; anch’io sono rimasto particolarmente colpito dalle parole di Riccardo Iacona quando ieri sera parlava di “progressiva riduzione del raccontabile”.

Servono ulteriori raccontatori di storie, serve coraggio e preparazione, come quelli dimostrati da Raiperunanotte, allagando il web d’una speranza nuova. Il web, da parte sua, potrebbe offrire alla televisione una via di fuga dalla tirannia del format, brevettato e chiuso, un’incrinatura di cui la maggior parte delle produzioni ha bisogno da tempo.
Ottimismo della volontà, per chi vuole ripartiamo da lì.

  1. poco tempo fa c’è stato chi ha allegramente tradotto il termine crossmediale in “copio, incollo e me ne fotto” []

Raiperunanotte, sì

Per rielaborare e rinforzare il concetto di pubblico, per ridargli significato, slancio e attività può arrivare una nuova televisione o web tv pubblica, nel senso in cui intendono public broadcasting gli anglofoni: finanziata direttamente da chi ne usufruisce, senza pubblicità o segreterie di partito in mezzo.  Tipo la PBS o Democracy Now! per fare solo due nomi.

Può essere un esperimento utile e d’esempio perché altrettanti ne nascano sotto l’insegna del meccanismo della compartecipazione diretta e della diffusione in network: anche per questo i miei due euro e mezzo a Raiperunanotte glieli ho dati più che volentieri.

Rai per una notte

a milano fa freddo

[Grazie a Elisa che mi ha fatto conoscere questo documentario]

“una città come milano non può accontentarsi di affrontare il problema dei senzatetto solo per salvarli da una morte certa.”

a_milano_fa_freddoDa gennaio a marzo a Milano scatta l’emergenza freddo e, da diversi anni, il comune, attiva un piano attraverso il quale chiede alle associazioni di aprire le proprie sedi per garantire un tetto sulla testa a italiani e stranieri, giovani e non, immigrati regolari e rifugiati politici che non hanno una fissa dimora.

“a milano fa freddo” è un video di un ventina di minuti realizzato da alcuni volontari dell’associazione “Centesimus Annus”, uniti sotto il nome dieci78, che hanno prestato la loro opera durante lo scorso anno.

Un documentario che ha il grandissimo pregio di dare voce e un volto a quelle persone che si trovano ogni inverno a inventarsi un modo per sopravvivere e darsi una speranza, un progetto pur flebile per affrontare il domani. Anche dopo il primo aprile quando il piano anti-freddo finisce ufficialmente e devono riprendere la via della strada.

Questo è zero, questa è la vita. Lui adesso non è qui (al livello della vita) E dopo due giorni va qui” (ancora più in basso)  dice una delle persone intervistate. Sotto zero, sotto la vita, a Milano nell’anno 2010.

C’è una marcia in Danimarca

“Soltanto un movimento di persone può salvare la civiltà dalla crisi climatica”1

Simbolicamente non poteva esserci luogo più adatto: nelle terre di Amleto. A Copenhagen, sul vertice dei leader mondiali pesa una questione enorme eppure abbastanza sottovalutata. Le azioni e le misure da intraprendere per invertire la rotta dell’economia mondiale e evitare catastrofi ambientali irreversibili sembrano rimandabili sine die. I governanti sembra vogliano ripararsi alla meglio dietro balletti di cifre e parametri superati di gran lunga dalla cruda realtà.2 Civiltà o barbarie: that is the question. È il momento di saperlo, è l’ora di non concedere proroghe. Agendo.

A Copenhagen il movimento di persone questo lo sa. E incalza, contesta, smentisce e pungola il COP15 di questi giorni (United Nations Climate Change Conference Copenhagen 2009) con una pluralità di iniziative che si formano e arricchiscono anche grazie all’uso di blog, instant-site e l’uso coordinato dei social media. Siti come TckTckTck, 350.org, Climate Justice Action e Indymedia Danmark diventano veri e propri hub, crocevia di riflessione, coordinamento e azione dove i contenuti generati direttamente dai singoli individui, attivisti, citizen journalist operanti in Danimarca vengono aggregati, diffusi e condivisi secondo argomenti, hashtag o timeline specifiche. Meritoria in questo senso la media page di 350.org (lista di TwitteReporter, siti utili, live coverage)

A Copenhagen il movimento umano esiste e non è lo spettro del padre di Amleto sulle mura di Elsinore, poco dopo il cambio della guardia: è reale, numeroso e non ha da rivelare complotti e avvelenamenti passati perché lo fa già da molti anni,  non chiede vendetta per la terra, ma giustizia. Climatica e sociale, ora.

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  1. Fred Branfman, “Copenhagen Won’t Be Enough — Only a ‘Human Movement’ Can Save Civilization from the Climate Crisis”. []
  2. Secondo i dati dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni, i cambiamenti climatici obbligheranno duecento milioni di persone a abbondonare le loro terre entro il 2050. Secondo altre fonti, il numero di ecomigranti sarà intorno ai settecento milioni di persone. | Via Rassegna.it | Scalo internazionale []

Back in White

Uno sfondo così dichiaratamente bianco questo blog non ce l’ha mai avuto.
Nel primo lustro di vita (2001-2006) il background è sempre stato total black (#000000; per dirla in esagesimale) senza l’ombra di pattern a ripetersi in lungo o largo. Nella penultima versione era arrivata una prima concessione al grigio, con un sentore minimo di carta stropicciata, come un documento invecchiato sulla scrivania.

Ora si passa al bianco per diverse ragioni.
La prima è che così si tenta di dare al testo scritto più importanza rispetto all’interfaccia e alla grafica in generale. La seconda è che ci saranno molti più contenuti (e più frequentemente) rispetto a prima; negli ultimi due anni questo blog è diventato un’appendice sempre più rinsecchita delle mie attività sul web. Perché nel frattempo era arrivato il web 2.0 e tutto l’ambaradam dei socialcosi a prendersi il tempo che dedico alle attività digitali e alla mia presenza online. Nulla di nuovo sotto il sole: è successo a molti e siamo ancora tutti vivi.

Ma è ora di reagire.
Continua a leggere…