I giardini digitali

Digital gardens | Maggie Appleton

Mi verrebbe da chiamarli orti ipertestuali, ma facendo così complicherei ancora di più la metafora vegetale con cui vengono indicati.

Facciamo un passo indietro: nel primo episodio di “C’era una volta la blogosfera”, Flavio Pintarelli ci ha ricordato i giardini digitali:

[i] cosiddetti “digital garden”, cioè dei siti che sono a metà fra dei blog e dei progetti dove, invece, l’intervento del programmatore, di chi scrive il codice, è un po’ più importante e che di fatto cercano di curare dei contenuti così come si coltivano dei giardini; quindi si creano dei microcosmi tematici.

Flavio Pintarelli | “C’era una volta la blogosfera” | Epiodio 1

Seguendo e approfondendo i link contenuti nell’ottimo articolo di Riccardo Coluccini dedicato a questi spazi virtuali, ho letto e apprezzato questa “A Brief History & Ethos of the Digital Garden” di Maggie Appleton che vale la pena leggere per capire la storia e l’evoluzione del termine e delle sue applicazioni nel Web.

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C’era una volta la blogosfera | episodio 1

C'era una volta la blogosfera | podcast | episodio 1

“C’era una volta – e c’è ancora – la blogosfera” è un podcast che parla di blog, nell’Ottobre del 2020, sotto i cieli pesanti che tutti conosciamo.
Dagli anni zero a oggi, una serie di interviste a blogger e su argomenti che hanno animato e continuano a animare quella parte di Internet chiamata da una ventina d’anni blogosfera, un territorio digitale che dal centro del Web – se mai ne esistesse uno – è diventato più periferico, suburbano, periurbano, o come diavolo si dirà oggi.
Quello che questo podcast non vorrebbe essere è un’operazione nostalgia, cedendo alla tentazione di riavvolgere il nastro un po’. Perché non esiste nessun nastro e tanto meno nessuna età dell’oro da recuperare. Ci sono invece le persone – che leggevo, leggo e forse leggerò – da ascoltare in viva voce. Con “Sudden Retropia” in sottofondo, ma solo musicale.


La scintilla per partire è arrivata da un thread di tweet che ha innescato un’intervista a Flavio El Pinta Pintarelli durante la quale si è parlato di digital gardens e curatela dei contenuti, di Mark Fisher e infrastruttura punk, di possibili ritorni alla blogosfera e di un Godard proto youtuber. Il tutto preceduto e concluso dall’apparizione di Davide Carbonai e dal supporto di un sedicente Comitato che mi ha rassicurato che noi ti si dice perché ti si vuole bene.

La trascrizione integrale, la linkografia e i credits di questa primo episodio li trovate qui sotto al lettore audio, insieme a altri luoghi dove ascoltare e seguire il podcast oltre che su questo blog.

Dura una ventina di minuti: buon ascolto.

C’era una volta la blogosfera | Episodio 1: “Noi ti si dice perché ti si vuole bene”

Credits

Distribuzione e licenza

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Ma certo

“Ma certo: crescerai, imparerai.” Tutte bugie.

Andrebbe detto l’esatto contrario: crescerai e la vita sarà ancora più complicata, diventerai adulto e non capirai niente, goditi questo momento, goditi i giudizi nati così, in scioltezza, a cazzo di cane; goditi i mille errori, le mille spericolatezze, le mille improvvisazioni del cuore; sorridi a chi ti considera ingenuo, a chi ti dice: «Sei un immaturo»; non ascoltare chi ti rinfaccia scelte azzardate e passi falsi, un giorno sarai tu a rinfacciarli a te stesso, sarai tu. E sarà dolorosissimo.

Mattia Torre, “In mezzo al mare”.

There Will Be Blood

Quando voglio stare male per un rapporto padre-figlio e mi voglio incarognire ancora di più col capitalismo riguardo “Il petroliere” (“There Will Be Blood”, 2007).

Piegare la durezza della natura per un’idea di civiltà senza socialità.

Di questi tempi andava bene anche meno somiglianza con la fragilità del futuro prossimo.

There Will Be Blood di Paul Thomas Anderson, 2007
There Will Be Blood di Paul Thomas Anderson, 2007

100 anni dopo, memori

Una delle rare lapidi contro il massacro che fu la prima guerra mondiale si trova in piazza a Giulianova, in Abruzzo.
Fu messa lì 100 anni fa proprio oggi.

“Ai proletari vittime della guerra borghese
I reduci della Lega Proletaria memori
2 Maggio 1920″

(Grazie a D. per la foto)

Giulianova (TE), piazza della libertà

Molly suona ancora in una band

Mi è capitato di scriverlo ieri nella chat che accompagnava l’Aristocratic DJ set, impeccabilmente condotto il giovedì da Marco De Annuntiis.
So che questa cosa della cover italiana di Obladì Obladà a opera dei Ribelli – quelli della per me bellissima “Pugni chiusi” – è davvero piccola, una minuzia rispetto ai tempi grami che stiamo attraversando, ma me la portavo dentro come una mini scheggia da almeno cinque anni. Era ora di scriverla.

Cinque anni fa mio figlio ebbe in regalo un libro con un un cd-audio di Obladì Obladà. Pensavamo fosse la versione originale dei Beatles. Invece per qualche mese sul lettore cd, accanto alla musica che ascoltavamo io e mia moglie, girarono a turno “Nella vecchia fattoria” nella versione del Quartetto Cetra e “Obladì Obladà”, cover italiana.
Ascolta una volta, ascolta due volte, ascolta tre volte, il testo mi fa venire un dubbio che mi fa cercare quello originale dei Beatles. Così scopro che nella versione dei Ribelli:

“Gianni fa le pizze e i toast al Superbar,
Lilly canta al night del Ragno Blu

mentre in inglese:

Desmond has a barrow in the marketplace
Molly is the singer in a band

In UK Desmond ha una bancarella al mercato e Molly è la cantante di una band mentre in Italia Gianni lavora in un bar e Lilly canta in un night. All’inizio sembrerebbero tutti tipi working class.
La cosa più retriva e familista della cover, senza farvi l’esegesi dell’intero pezzo, è che nella versione italiana i due si fanno un casa, fanno un figlio, Gianni continua a lavorare al bar e Lilly lo aspetta a casa tutta contenta e le basta così.

Gianni fa le pizze ancora al Superbar
Lilly col bambino sta a aspettar
Lui ritorna a casa alle otto e tre
Nessuno piu’ felice a questo mondo c’è

Anche la coppia inglese si è fatta una casa – in a couple of years (!) – ma in una prima strofa, Desmond continua a lavorare felice al mercato, i due figli gli dànno una mano e Molly sta a casa continuando a fare la cantante in una band. In una seconda strofa è Molly che lavora felice al mercato con i figli che l’aiutano e con Desmond che sta a casa a farsi bello. Ma la sera Molly è ancora la cantante del gruppo. Non sta a casa a aspettare Desmond.

Happy ever after in the market place
Desmond lets the children lend a hand
Molly stays at home and does her pretty face
And in the evening she still sings it with the band

Happy ever after in the market place
Molly lets the children lend a hand
Desmond stays at home and does his pretty face
And in the evening she’s a singer with the band

Nella versione italiana questa differenza minima tra le due strofe non si trova, c’è invece questa parte che il testo di McCartney e Lennon non contempla:

Obladì obladà è la vita
La la vita è tutta qua.
La casa si fa, lui la fa per lei, per lui.
Il bambino verrà, lei lo fa per lui
Per fare felice lui.

E insomma, erano cinque anni che lo volevo scrivere, grazie a Marco De Annuntiis per avermi dato lo spunto: quando ha rammentato la versione edulcorata che è “L’isola di Wight” rispetto all’originale francese “Wight is Wight” il ricordo mi è salito su. Come i pepentoni o un trip. O un aperitivo al uischi.

Update:

Già che siamo in tema, suggerisco in appendice anche un confronto fra “A well respected man” dei Kinks e la versione in italiano dei Pops.

– Marco De Annuntiis, dai commenti di Facebook