Stormo - Delle Nostre Vite Appese

Vite appese, cerchi chiusi

Crolleranno le mura che chiamavamo affettuosamente casa.
Il vento porterà via l’instabile sabbia su cui poggiavamo saldamente i piedi.
Consumati dalle intemperie ci gireremo a guardare le brillanti macerie dei giorni passati.
– Stormo, “Delle Nostre Vite Appese”

Queste parole sono tratte da una canzone rimasta a impolverarsi in qualche sottoscala dei miei neuroni per un bel po’ di anni: forse il cervello, per una forma arcaica di difesa, le ha incastrate lì, in un luogo difficile da ritrovare per quanto mi erano rimbombate in testa nel gennaio dell’anno 2017, anche se la prima volta che lo avevo sentite risaliva a circa tre anni prima. In quel mese, la mia vita e quella della mia famiglia erano realmente appese: bloccate nella neve, crepate dalle scosse e in attesa di chissà che cosa.

Autori dei versi sono gli Stormo, uno dei gruppi punk hardcore che più ho apprezzato negli anni dieci di questo disperato nuovo millennio, che le aveva usate sia come parte finale della canzone citata sia per dare il titolo a “Sospesi nel vuoto, bruceremo in un attimo e il cerchio sarà chiuso”, un album che, per me, rimane tra le pietre d’angolo dell’hardcore italiano- o post-hardcore, fate voi.

È anche per questi motivi che ho voluto scrivere su Humans vs Robots di una nuova traccia uscita dalle feroci meningi degli Stormo: si chiama “Come Fauce Che Divora” e chiude il nuovo album del quartetto, uscito il primo giorno di primavera per Prosthetic Records.
Per liberare quelle parole dal sottoscala della memoria, affrontare le nuove intemperie e chiudere il cerchio.

(Immagine via Stormo | sito ufficiale)

Nobody aked for AI

Ruba poco, ruba molto

L’intelligenza artificiale è utile in molti settori e dannosa in altri. Tra questi ultimi c’è il fatto di addestrare le AI attraverso contenuti creati da persone che non hanno dato il loro consenso: è disonesto e la passano sempre liscia i più ricchi e potenti.
Per fare un esempio concretissimo e attuale, c’è Meta – ma è una pratica che vale anche per le intelligenze artificiali sviluppate da OpenAI e da Google- che, per allenare i modelli linguistici di Meta AI, ha usato milioni di libri protetti dal diritto d’autore, senza chiedere il permesso a nessuno e in maniera totalmente gratuita. Lo ha fatto attingendo direttamente da LibGen, una delle biblioteche online che permettono di scaricare articoli e libri in modo non autorizzato. Solo che se a scaricare anche solo un libro sei tu, povero disgraziato che non hai i capitali per soddisfare tutte le tue voglie di lettura, rischi una multa salata, se lo fa una grande azienda va tutto bene e rientra nel fair use.

Per chiarire meglio il concetto, in California gli autori di una causa contro Meta hanno utilizzato una frase – molto brechtiana – della canzone di Bob Dylan “Sweetheart Like You” per prendere in giro le giustificazioni della corporation allo scaricamento illegale dei testi:

“Steal a little and they throw you in jail / Steal a lot and they make you king.”
(“Ruba un pochino e ti ficcheranno in galera / Ruba tanto e ti faranno re”)

Poi c’è anche che ultimamente mi dà noia la moda di voler infilare l’intelligenza artificiale in tutte le occasioni possibili, di lavoro o meno, come se usarla fosse la cosa più ganza del mondo, a prescindere da tutto. Forse gli integrati, in questo caso, mi stanno sul culo più degli apocalittici perchè sono quelli che ne capiscono di più e, invece di spiegare pro e contro delle AI, spesso si arroccano su posizioni di bene assoluto – quasi apologetiche – difficili da sopportare. Quando succede mi verrebbe da reagire – e così sbaglio anch’io, lo so – con la stessa intransigenza. Per esempio, caricando immagini come quella in cima a questo post.
E per concludere in stile rant: si può dire?

(Immagine di Dyna Moe | via Bluesky)

UK Subs | 3 LIVE songs at LA Punk Invasion 2025 | YouTube

Da qui non si passa, niente concerto

La Gran Bretagna ha avvisato i propri cittadini sui rischi che corrono nell’intraprendere un viaggio negli Stati Uniti, viste le tremende situazioni che alcuni visitatori hanno sperimentato sulla propria pelle una volta giunti nel paese stretto nelle misure repressive dell’amministrazione Trump. Si rischiano l’arresto e l’espulsione e un prolungato trattamento di detenzione di certo non tipico di un paese civile.

È il caso di Rebecca Burke, grafica britannica di ventotto anni, che è stata trattenuta per diciannove giorni in una struttura quando ha provato a entrare negli U.S.A., certa di aver seguito correttamente tutte le procedure d’ingresso. È stata poi rimpatriata, in catene – manco fosse Hannibal Lecter – con un volo diretto in U.K..

Una cosa simile, anche se senza schiavettoni e solo per venticinque ore, è accaduta a tre componenti degli U.K. Subs, il gruppo punk rock londinese che dagli anni ’70 infiamma palchi e creste di mezzo mondo. Alvin Gibbs, il bassista della band, ha raccontato quello che è successo in un post sui social: se volete saperne di più spostatevi sul post di News che ho scritto per Humans vs Robots sotto il titolo “U.S.A., mi avete annoiato (e rimpatriato)”.
E niente coast to coast per un bel po’, mi sa.

(Immagine: frame da UK Subs | 3 LIVE songs at LA Punk Invasion 2025 | YouTube)

Fuga dai nazi, dai bulli e dalla tempesta | Veni, vidi, scripsi 02

Fuga dai nazi, dai bulli e dalla tempesta

Secondo post di Veni, vidi, scripsi: altri tre video che mi è sembrato interessante segnalare tra quelli visti in questi ultimi tempi, sempre in tema di letteratura, cinema e musica.
I link ai video sono quelli con lo sfondo nero.

Stavolta si parte dal cinema. E più precisamente da “Cerdita”, il cortometraggio – vincitore del premio Goya 2019 come miglior corto di fiction – che, abilmente espanso, ha poi generato il primo lungometraggio della regista spagnola Carlota Pereda, distribuito a livello internazionale con il titolo di “Piggy”.
Nei suoi quattordici minuti di durata non si può che fare il tifo per Sara – una formidabile Laura Galán capace di interpretare la final girl senza mai proferire una parola – pesantemente bullizzata da ragazzi e ragazze suoi coetanei per via del suo corpo in sovrappeso. Nell’assolata campagna dell’Estremadura dove Sara corre per sfuggire agli sguardi e ai dileggi accade però di incontrare anche un salvatore inatteso quanto spietato che indirizza l’opera nella direzione horror/gore che si compirà al meglio nel film d’esordio di quattro anni dopo. Anche se un indizio orrorifico ci viene regalato fin dal primo minuto del corto quando Sara ascolta in cuffia “The night of the living dead” della band “Agoraphobia”, garage rock da Santiago di Compostela.
Un brevissimo estratto delle grezze parole rivolte dalle ragazze a Sara:

Dove vai, porcellina?
Il tuo tipo scappa.
Per una volta che avevi rimorchiato!
State bene insieme.
Oink, oink, chiamalo!

Il video sulla letteratura riguarda un mostro sacro – almeno per me – del Novecento: Walter Benjamin. Della vita e delle opere del filosofo, traduttore e critico letterario, oltre che scrittore, il canale YouTube “Fiction Beast” ne pubblica un ritratto partendo dal 1940 e dalla sua fuga: prima dalla Germania nazista e poi dalla Francia occupata, attraversando i Pirenei e la Spagna già sotto le grinfie del regime franchista, nel tentativo di raggiungere gli Stati Uniti. La fine è purtroppo nota: fermato alla frontiera dalla polizia, si toglierà la vita con un’overdose di morfina. Gli altri suoi compagni di viaggio, ebrei come Benjamin – indesiderati d’Europa come gli internazionalisti che dalla Spagna alcuni anni prima scappavano dopo la fine della guerra civile – riusciranno a ottenere il permesso di partire il giorno dopo.
Il titolo del video può apparire cattivo e sminuente – This genius failed in everything – ma la capacità di sintesi e le informazioni di fondo sono più che soddisfacenti per un video che in ventidue minuti riesce a fornire una ritratto sincero del pensiero di Benjamin, senza semplificazioni o sbavature. Il tono è interessante perché alterna, con il giusto equilibrio, citazioni delle opere e intermezzi ironici. Come il modo in cui viene descritta la seconda volta in cui il geniale intellettuale berlinese ritorna a casa dei genitori dopo non essere riuscito a ottenere l’abilitazione all’insegnamento all’università di Francoforte – il nostro era già sposato, aveva un figlio e anche una relazione con una rivoluzionaria lettone conosciuta a Capri:

Benjamin era troppo anticonformista nei suoi pensieri. Così, per la seconda volta, fece ritorno al suo seminterrato per giocare ai videogiochi, mangiare salsicce e bere birra. Ma suo padre era abbastanza stufo di lui e gli tolse la paghetta. Sei un uomo adulto ora!

Per passare all’ultimo video dedicato musica, occorre però scomodare ancora un po’ Walter Benjamin e la sua celebre descrizione – ispirata da un acquerello di Klee – dell’angelo della storia:

L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato.
Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle.
Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta.

La tempesta – stavolta di neve – ritorna in Ariel, singolo uscito pochi giorni fa per “Night Life”, l’ultimo lavoro dei The Horrors. Bloccato per un guasto all’automobile in un paesaggio innevato – sembra di stare tra le prime inquadrature aeree di Shining e l’inquietudine alla Twin Peaks – Faris Badwan, il cantante del gruppo britannico, si trova a correre in mezzo ai boschi mentre la figura di uno spirito dell’aria – impersonata dall’artista e performer Castor Taylor-Wade – appare tra la neve che continua a cadere. Tra Shakespeare, drum machine e sintetizzatori, senza rinunciare alle originarie radici gotiche.
Questo l’incipit del testo tradotto:

In questo mondo di silenti paesaggi invernali
tutti i sogni giacciono sospesi e invisibili nell’aria
e ogni vacua croce che ci portiamo dietro per tutta la vita
si trascina sotto il sole gravando sulle nostre spalle.

Ma quando questa sensazione appare in una luce color del rame
metti il tuo spirito accanto a me
questa paura che tutti quelli che amiamo ci diranno addio
si dissolve naturalmente nella notte senza forma.

Tre fughe diverse, mentre altre fughe concretissime e attuali si aggiungono in questi giorni di incipiente primavera. Come i professori universitari di filosofia e di storia che lasciano gli Stati Uniti per il Canada, dopo aver studiato come funzionano il fascismo e la propaganda e averne constatato gli effetti direttamente sulla società.

Propagandhi - At Peace - Video animations di Lucius Amberg

Il costo emotivo del caos

Penso che finora la reazione alla canzone “At Peace” sia come la sensazione che le persone si rispecchiano nella canzone in termini del costo emotivo che gli eventi mondiali hanno avuto su di loro. E a volte anche solo sentire qualcuno che mette in parole capaci di riecheggiare il caos dei tuoi pensieri ti dà una piccola spinta, come sapere che qualcun altro sta vedendo il mondo per quello che è invece del mondo per quello che non è.

Queste le parole di Chris Hannah, voce e chitarra dei Propagandhi, nell’intervista sul singolo che dà il nome al loro ultimo disco – in uscita per Epitaph Records il prossimo 2 maggio, dopo otto anni dall’ultima produzione.

Ne ho scritto per Humans vs Robots nella sezione Tracce, partendo da un possibile conflitto tra Canada e Stati Uniti che il gruppo punk hardcore di Winnipeg aveva immaginato venti anni fa. Quando siete lì, cliccate sul link che porta al video su YouTube: le animazioni politiche di Lucius Amberg valgono la visione.