Hic et nunc 3.0

E sicché back in town. (1)

(1)
Strelnik. 3.0 me lo farei tatuare su una ginocchio, giusto per fisarmonicizzarlo ogni volta che compio un passo, andando verso il riscattarsi dalla schiavitù energetica; ritemprare i polpacci, scandire i giri intorno all’asse delle ruote e consumare le suole: questo c’è da fare.
Insieme al mio amore e a tutti quelli che lo vorranno; quest’estate ne ho incontrati di veramente ganzi e fraterni;  e sono, per esempio, gli inventori e gl’interpreti di:

– il Poli che, ormai messo fuori, lasciò baracca e burattini e s’incamminò dal Nord verso la Puglia,
– il piccolo Gasty che dai Murazzi, sopra e sotto, crea fumetti ogni volta che muove la coda,
– quattro bici a zonzo per il lungomare dell’Adriatico abruzzese in mezzo a sogni libertari, tuffi e soste ristoratorie,
– tre toscofiguri nella città vecchia e sul lungo Reno di Colonia, saturi di caffeoni, campari soda scomposti e birre molto buone, ma piccine.

Tempi, luoghi e persone da intrecciare ancora, mentre faccio cose nuove. La sfida dei fatti dietro l’angolo insieme alla felicità della mia compagna.

Prima di tutto: re-inventarsi zone di comunicazione e condivisione diretta – partendo dai propri rapporti individuali generare ben relazionali interessanti.
Poi solo vino rosso, per un po’.

Qui ricordo anche Stefano Rosso e David Foster Wallace che ora non sono qui e poi il segno del costume alla riconquista dei territori ceduti alla bronzatura.

MelaZeta

Bit worker | 2008Scartavetrare pixel a ritmo di fatture a sessanta giorni.
Con Città del Capo Radio Metroplitana e Maps a fare di sottofondo a un mestiere che mi piace e che non sento e non vorrò mai sentire come lavoro;
la cara, vecchia illusione dell’avanguardia: arte e vita arrotolate insieme come una cartina al suo tabacco. Pronte per bruciare insieme. Fino al prossimo affitto.

Va così in questi giorni: sono dieci anni di lavoro sul (per il?/nel?) web.

Per ore in solitaria davanti alla tastiera, beccheggiando e appuntando di lato, quando c’è da farlo.

Betty: “Che cosa fai quando sei da solo?”
Victor: “Quello che faccio sempre quando sono solo: mi mescolerò al popolo”
(Claude Chabrol, “Rien ne va plus”)

Legami sociali fluidi nel secolo più monoideologico.
Anche per questo e in ritardo

inadatti alla rivoluzione perché il luogo della rivoluzione è l’infinito, il futuro, sogno da figli dei fiori in tempo di benessere, svanito, noi passeremo dal potere infinito della nostra adolescenza carnale all’infinita frustrazione che muove al consumo. Di sè o di merci. E di vite come merci.
(Luca Rastello, “Piove all’insù”)

Poi, se ci arriviamo, c’aspetta una vecchiaia da semi ciechi.
Sarà molto facile che gli occhi ci lascino al palo, facendoci ciao ciao con la manina di un emoticon tatuato sulla retina che se ne va.
Ci lasceranno impegolati nella ripetitività di panorami a risoluzioni massime di millequattrocento per novecento.
Stazioneremo tra il lusco e il brusco, ma sprovvisti della maestria di certi operatori e direttori della fotografia – che apprezzava e ricordava Marco Ferreri – che nonostante da vecchi non ci vedessero più tanto bene riuscivano lo stesso a darti delle inquadrature e dei movimenti di macchina impeccabili.

Saremo anche senza pensione, ça va sans dire.
Potrebbe andare peggio, ma la desertificazione almeno eviterà che piova.

Salute a tutti noi, bit worker sballottati dal novecento.
[MelaZeta]
Dagli anni zero.

Ora salva e pubblica che siamo quasi in vacanza.

MayDay SMS Parade

Testo dell’sms inviato ieri:
“Lavorare con lentezza senza fare alcuno sforzo. Buon primo maggio, resistenti”

Testi degli SMS di risposta ricevuti, in ordine d’arrivo:

1) “Ma dove sei alla Leccia? Buon 1 anche a voi”

2) “Grazie compagni, chiunque voi siate!”

3) “Oggi l’unica parte di me sottoposta ad uno sforzo è stato lo stomaco, per una pantagruelica mangiata di fagiolo zolfino. buon primo maggio”

4) “Grande Massi! Un bacione a te e a Monia. E rialzati italia dio merda”

5) “Vecchia roccia, l’unico resistente pronto per la rivoluzione… Saluti da La Spezia”

6) “Buonissimo maggio anke a te amico! A presto spero”

7) “Hanno vinto compagno! si lavora di molto alla svelta… e morti anche oggi! saluti da Montalcino

8) “Già. Anche a te”

9) “Non mi sforzo nemmeno ciulando, figuriamoci a lavorare! ;-) Abbracci e baci”

10) “Buon primo maggio anche a voi. Siamo con L. e P. Ci stiamo organizzando per un’escursione cittadina, se vi va sentiamoci!”

11) “…e incaxxati”

12) “Sei il mio extraparlamentare di riferimento. Buona lotta.”

13) “Grande Massi! Stasera vado a vedere Fiorentina-Glasgow. Forza viola”

14) “Dio boia! radio alice chiude i battenti… radio catrame trasmette, i piccoli maestri resistono”

15) “Sarebbe meglio non lavorare proprio… grande Max, buon primo maggio anche a te…”

16) “Ciao bestia. Pensovi spesso”

17) “bah no! E fo anche ponte”

18) “Ciao compagno! Saluti e a presto!”

19) “Ciao mitico… Oggi sto in casa…”

20) “Lavorare lavorare lavorare. Preferisco il rumore del mare”

21) “Grandissimo. Ti telefono uno di ‘sti jours. Salutami la tua metà e l’Adriatic sea when u c it. Mi chiamo John Ford e I do western con lentezza”

22) “Non lavorare proprio è ancora meglio :-) buon primo maggio… mi raccomando condito da tanto e buon vino…”

23) “da un campo cobas, in quel del calcesano, buon primo maggio a voi”

24) “Lavorare, lavorare, lavorare. Preferisco il rumore del mare. Buon primo maggio compagno strelnik”

25) “Noi si resiste dal Chianti, sarà il sole o sarà il vino ma qui si resiste bene!

26) “Ma chi sei?”

27) “Noi abbiamo praticato la lentezza tutto il dì e ci apprestiamo al concertone sindacale a ravenna (con la PFM!) buon primo maggio a voi.

Non finisce mai

[scritto come e-mail in risposta ad un amico]

Caro Ranieri,
a Galliano, e in molte altre parti d’Itaglia, non cambiava mai niente: era freddo quando doveva essere freddo e caldo quando s’aspettava il caldo, il sabato cominciava puntualmente di sabato così come le bestemmie a mezzi denti erano il marchio a fuoco di tutti i lunedi mattina.

Poi un giovedi sera, verso le otto, qualcosa cambiò: all’inizio sembrò una semplice increspatura nel gran lenzuolo del tempo, quella federa che sa d’ammorbidente di discount che ammanta il giaciglio rodato e pesantissimo che ancora oggi chiamiamo “provincia”;
al primo apparire quel giovedi poteva sembrare solo un tic da niente, un segnale nevrotico, come un rutto trattenuto o un rumore di singhiozzo morto appena dopo il primo colpo.
Invece non fu così: ci fermammo e ci si trovò diversi, uguali ma diversissimi rispetto a una fetta consistente d’umanità sorella e fratell’a noi.

Ci guardammo gli uni negli altri:
tutti le figlie e i figli d’ultimo letto del secolo più breve e sconvolgente che la storia abbia conosciuto, tutte le persone nate quando il “boom” era agli sgoccioli, quello stesso boom che, sempre con la scusa della crescita e della produttività, e con l’aiuto frequentissimo di speculazioni e ladrerie, aveva ingrassato e corrotto i democristiani, abbindolato e addomesticato i socialisti (Craxi poi concluse l’opera) e sclerotizzato e imbambolato i comunisti.
La scuola media era stata unificata da poco, le “blande riforme” avevano trovato Palazzi Campana e autunni caldi a spingerle in direzioni nuove: la sinistra extraparlamentare esisteva anche se a Galliano se ne vedeva poca/quasi niente però i morti per le bombe nelle piazze e sui treni noi ce li ricordiamo e ci ricordiamo anche la faccia di Cossiga ministro degli Interni.
Il movimento del settantasette e il punk c’hanno sfiorato, (te almeno, Ranieri, di un po’ più d’autoironia indiana-metropolitana e di cortei che sapevano farsi sentire ne hai goduto, io ho solo visto chiudere le ultime sedi di Democrazia proletaria).
È arrivato “il calduccio di merda degli anni ottanta dopo il freddo degli anni di piombo”: tempo di eliminare la scala mobile e far scaldare nani e ballerine che il colosso sovietico ha starnutito facendo venir giù tutto l’ambaradam: noi, abbastanza paradossalmente, siamo finiti sotto una parte di quelle macerie, impolverati da brandelli di muri&merci che manco avremmo voluto costruire&comprare: ne sopportiamo il parziale peso solo perché condividiamo e conserviamo una scheggia di memoria storica che in questi giorni (ai soliti riccastri) torna utilissimo eliminare, una scheggia difficile e pericolossima da rimuovere che questi figli d’un secolo morente hanno conficcata vicino a qualche organo vitale (per alcuni è il cuore, per altri il cervello, per i più alcolisti il fegato);
una scheggia che schifava sia il violento burocratismo dell’URSS che le piccinerie democristé e le sporche puttanate yankee;
una scheggia invece interessata a percorsi e persone più complesse e gratificanti come il Partito d’Azione o Lotta Continua, Primo Moroni o Ernesto Balducci (solo per citare due coppie di tempi e modi abbastanza distanti).

Ora:
quel fatidico giovedi sera, a Galliano e in molte altre periferie dell’impero del capitale, s’ha da costruirlo già da ora e con tutta la disperazione e la gioia di cui siamo capaci:
creiamo microsistemi resistenti e autonomi, coinvolgendo in mutuo soccorso chi si vuole unire all’impresa: riprendiamoci la società e il suo territorio, la nostra capacità di autorappresentazione individuale e collettiva, riappropriamoci del confronto-conflitto fondando luoghi d’aggregazione sempre più complessi: lasciamo le porte aperte e i fucili nella merda.
Ritroviamo il piacere della posta in gioco, ricollochiomoci nelle strade, allarghiamo e valorizziamo il tempo libero, rispondiamo no ripartendo dai bisogni reali, dalla critica e dallo sberleffo nei confronti della ricchezza vista solo in termini acquisitivi, incrociamo destini, usciamo di casa, grattiamoci (come suggeriva Guccini).
Riprendiamoci le città, i paesi, tutti i Galliani malefici di questo pianetino nostro: incrociamone e contaminiamone le esperienze, fomentiamo da subito scambi sociali: ritroveremo noi stessi e il nostro nemico, così come lo scrisse Primo Levi in “Partigià”:

“Quale nemico? Ognuno è nemico di ognuno,
spaccato ognuno dalla sua propria frontiera,
la mano destra nemica della sinistra.
In piedi, vecchi, nemici di voi stessi:
La nostra guerra non è mai finita”.

Come fare non so, ma voglio farlo,
senza pistole, alla luce del sole e non da solo.

Un abbraccio, buon primo maggio e a presto.