Non so perché abbia smesso di scrivere, così come non ho mai saputo perché avessi cominciato. Era un modo per iniziare a scrivere a mezza età, come recita il sottotitolo del mio blog. Non era importante avere lettori, l’esigenza era personale e intima. Scrivere. Anche se nessuno leggeva. Anzi, forse anche meglio non saperlo, se qualcuno leggeva. Oppure illudersi che qualcuno avesse letto, non necessariamente apprezzato, ma almeno letto.
Attraverso una e-mail e un post del Sir Squonk – più precisamente “Parlare da soli” – leggo le parole sopra citate. E non possono che farmi piacere perché la riapertura di un blog dopo cinque anni di silenzio grazie alla lettura di un altro blog è uno dei meccanisimi più virtuosi che il web può generare. Poi perché mi interessa molto seguire un blog nato più di quindici anni fa per un’esigenza personale, al di là di avere lettori o followers – oggi indice supremo dell’efficacia degli strumenti online. Fosse solo per ritrovarsi a leggere un se stesso del 2003 – quell’io che non sono più, quell’io che ero tra il 2003 e il 2015.
E infine perché, anche se indirettamente, uno degli obbiettivi del podcast è anche questo: rivalutare e riutilizzare lo strumento blog per creare reti di relazioni e condivisioni meno effimere e gamificate – gheimificate – di altre piattaforme.
Un post-ponte tra l’ultima e la prossima puntata del podcast, perché il silenzio non cali.
“Per tutta la sua breve vita Swartz si era speso, correndo gravi rischi in prima persona, proprio per la difesa delle libertà e dell’accesso in rete. Prevedendo la progressiva recinzione del web in nuovi orticelli privati, aveva promosso standard comuni per favorire lo sviluppo di internet in spazi aperti e interoperabili. Aveva introdotto il protocollo RSS, la Really Simple Syndication che permetteva agli elementi base di qualsiasi sito di parlare con tutti gli altri, aprendo la strada agli aggregatori e ai podcast. Insieme ad altri visionari come Lawrence Lessig aveva creato le licenze Creative Commons, che offrono oggi una alternativa più adeguata ai nostri tempi rispetto agli intoccabili principi del Copyright per tutelare il diritto d’autore.
Swartz, purtroppo, è morto due volte. Una volta fisicamente, anche come conseguenza ultima delle gravi controversie legali che lo hanno coinvolto. Una seconda volta, quando è calato il silenzio sull’importante eredità che ci ha lasciato.
[…]
Quello per cui Swartz lottava, peraltro, non erano solo i nostri diritti, ma anche la preservazione della natura originaria di Internet, nata per opporre un maggiore pluralismo e in generale una diversificazione degli stili e dei linguaggi (diversity) all’omologazione dominante garantita dall’appiattimento delle catene editoriali precedenti”
– Antonio Pavolini, “Unframing | Come difendersi da chi può stabilire cosa è rilevante per noi”, (2020)
Per capire che cosa è il framing, questa ulteriore connotazione dell’agenda setting e di come comprendere e reagire a questi incorniciamenti dell’informazione e dei contenuti, la quinta puntata è orgogliosa di ospitare Antonio Pavolini, analista dei media, blogger e pioniere del podcasting italiano e autore di un recentissimo libro su su come difendersi da chi può stabilire cosa è rilevante per noi.
Con Antonio abbiamo parlato di attualissimi casi di framing, della ruota del criceto e del presidio dell’attenzione – la vera risorsa scarsa, cercata e grattata come l’oro del Klondike – di ristoranti giapponesi e street-food pompeiani. Delle energie di tanti blogger e sperimentatori disperse nella waste land della social tv, di Hossein Derakhshan e di un web che assomiglia a una televisione un po’ più sofisticata.
Alla fine si è parlato anche della stagione eroica del podcasting e delle sue più recenti evoluzioni – con il rischio della fissazione per il personal branding o dell’occupare solo per moda uno spazio – in assonanza con il fatto che, così come per la prima blogosfera, anche il primo podasting non aveva come scopo fare soldi, ma al massimo, quello di creare una rete di relazioni attraverso i racconti.
La puntata dura ventisette minuti, comprese due citazioni de cinema: buon ascolto!
“C’era una volta la blogosfera” è un podcast ideato, registrato e montato da Strelnik, pubblicato e distribuito sotto una licenza Creative Commons – Attribution-NonCommercial-ShareAlike 4.0 International (CC BY-NC-SA 4.0)
Il blog del Sir Squonk – al secolo Sergio Pilu – ha tante qualità: a parte quella di non aver mollato la scrittura neanche in anni in cui la blogosfera perdeva buona parte dei suoi componenti iniziali, c’è il fatto che ha sempre usato il mezzo come qualcosa di proprio, come una invisibile propaggine della propria casa – fosse solo per il dominio da pagare – e che glielo fa curare con una dedizione e una sincerità che rimangono uno dei maggiori valori dei personal media.
In più – e questo è il succo della puntata e dell’intervista col Sir – c’è il suo e-book che si chiama “Zona di alienazione” che nei confronti del blog è debitore, sia per la struttura, sia per l’esercizio nello scrivere che l’autore ha potuto coltivare fin dai primi anni zero, attività fondamentale per ideare e portare a termine questo libro.
Nel racconto del Sir si incontrano foreste che, pur malate, si riprendono lo spazio, contaminato per un paio di millenni ancora, palazzi che possono crollare in ogni momento. E la base militare segreta di Duga e il Picchio russo. Perché “Zona di alienazione” è il diario di un viaggio a Chernobyl che il Sir ha saputo ben intrecciare con il racconto della storia della sua famiglia in Brianza nel 1976, l’anno di Seveso e della fuga di diossina, rifacendosi all’esempio nobile del longread che Jonathan Franzen scrisse nel 2016 per raccontare un suo viaggio in Antartide e al contempo il legame con un suo zio.
Nel finalissimo di puntata, un altro suono e un altro dubbio arrivano, sempre grazie al contributo del compare di podcast, Davide Carbonai.
Dura 25 minuti in tutto – ci stiamo allargando, lo so.
“C’era una volta la blogosfera” è un podcast ideato, registrato e montato da Strelnik, pubblicato e distribuito sotto una licenza Creative Commons – Attribution-NonCommercial-ShareAlike 4.0 International (CC BY-NC-SA 4.0)
Valga come piccola anticipazione del prossimo episodio del podcast: stamattina ho registrato una mezz’ora di conversazione col Sir Squonk su argomenti, vicende e libri che scoprirete presto. A parte la soddisfazione personale di aver rivisto e parlato – sia pur su Skype – con una persona amica dai tempi in cui manco esistevano i permalink, il Sir ha colto l’occasione per un post puntuale e sincero di riflessione sullo strumento blog, la memoria e il parlare da soli. Da leggere e linkare subito, aspettando di sentirne voce e intonazione – qui sotto solo un assaggio.
“I blog e le loro propaggini per tanti di noi sono stati quello, in sostanza: uno spazio e una palestra di conversazione; una palestra, sì, perché a parlare con gli altri, anche nella maniera sbilenca e asincrona di un post con i suoi commenti, ci si allena. O si dovrebbe farlo, almeno. E quel che ho pensato dopo è che le cose cambiano: che oggi gli spazi di conversazione sono infiniti, siamo immersi in un’unica infinita chiacchiera fatta di mille chat su Telegram e duemila su Whatsapp e tutti i social possibili e immaginabili, ma quel che spesso ci manca è lo spazio dove parlare con noi stessi.”
Ritornare a scrivere in Rete per il gusto di raccontare se stessi e la realtà quotidiana che viviamo, per produrre memorie da leggere anche quando non ci saremo più. Ha il fascino di un back to basics – “one man and his guitar blog” – una delle riflessioni che Personalità confusa ci ha fornito nella conversazione inclusa in questa terza puntata: se la letteratura, come tutta l’arte – se credete a Pessoa – è la dimostrazione che la vita non basta, pubblicare su un blog è uno scampolo di possibilità anche se quel che rimarrà pubblicato sarà assimiliato, bene che vada, a una sorta di letteratura grigia.
“sbaglieremmo anche a non cogliere una richiesta, certo inconsapevole spesso, e confusa, di un nuovo “spazio pubblico”, in cui magari a essere in discussione non sono le grandi opzioni di carattere economico, politico e sociale, ma le scelte di vita quotidiana di una generazione sommersa da modelli comportamentali standardizzati e contraddittori, da offerte di merci pletoriche e caotiche.”
Antonio Caronia, “Comunicazione, viralità, contagio nella blogosfera”, (2006)
Ma quello che si potrebbe etichettare come semplice ritorno al privato – il tremendissimo riflusso – potrebbe essere un modo per intrecciare nuovi e più soddisfacenti legami, in un’esplosione di connessioni e di reciprocità – per riprendere le parole di Caronia.
Con il Confuso si è parlato della blogosfera dei primi anni zero e dei suoi geniali dilettanti, della pervasività degli odierni strumenti e della peculiarità del testo scritto, di auto-fiction e autoreferenzialità. Sono saltati fuori anche il primo decalogo dei blog – della Pizia – e un tweet di Dania sul successo. Nel finale, l’interferenza di Davide Carbonai ha rimesso sul piatto il tema della memoria e della sua fragilità attraverso le parole di Alessandro Barbero in un bellissimo podcast sulla vita di Marc Bloch. E negli ultimi secondi della puntata, se ci arrivate, c’è il monito di Kurt Vonnegut che da queste parti è come il primo comandamento per i cristiani:
“We are here on Earth to fart around. Don’t let anybody tell you different.“ “Siamo qui sulla terra per andare in giro a cazzeggiare. Non date retta a chi dice altrimenti.”
Kurt Vonnegut, “A Man without a Country”, (2005)
Dura un paio di minuti in più rispetto al solito, neanche 23 in tutto: buon ascolto.
“C’era una volta la blogosfera” è un podcast ideato, registrato e montato da Strelnik, pubblicato e distribuito sotto una licenza Creative Commons – Attribution-NonCommercial-ShareAlike 4.0 International (CC BY-NC-SA 4.0)
Una decina di anni fa era abbastanza probabile che il navigatore medio di Internet avesse sentito parlare di RSS. L’acronimo che sta per Really Simple Syndication, o Rich Site Summary – dipende dalla persona a cui lo chiedi – è un formato, facilmente comprensibile da programmi per computer differenti, che i siti web e i podcast possono usare per distribuire un flusso di contenuti ai lettori e agli ascoltatori. Oggi, nonostante continui a potenziare numerose applicazioni web, l’RSS è diventato, per la maggior parte dellle persone, un’oscura tecnologia. Così inizia “L’ascesa e la scomparsa degli RSS”, un post di Sinclair Target che ripercorre in maniera dettagliata e genuinamente geek la doppia invenzione, la diffusione e la sua progressiva marginalizzazione. L’articolo, pubblicato giusto un paio di anni fa sul blog “Two-Bit History” è stato progressivamente arricchito con le interviste a Dan Libby, Eckart Walther e Ramanathan V. Guha, all’epoca sviluppatori per Netscape, autori del primo formato RSS nel 1999. Per gli appassionati di storia dell’Internet e della tecnologia web, il post di Sinclair Target è una vera miniera d’oro: per esempio, minuziosa e ben supportata da fonti verificabili, è la ricostruzione delle vicende interne alla comunità di sviluppatori che dall’iniziale convergenza sul formato RSS 0.91 portò alla scissione – l’RSSfork – già alla versione 1.0.
Un paio di settimane fa, il blog di Polaroid è arrivato alla ventesima stagione e il suo fondatore – insieme a Laura – e radio show manEnzo Baruffaldi ha scritto una lettera al se stesso del 2001, trasvolando in pochi paragrafi due decenni di vita, in onde e bit, del programma radiofonico nato negli scantinati di via Masi 2 a Bologna. Con Enzo si è parlato della nascita accidentale di Polaroid: di come sia nato dall’esigenza di avere online un foglio di appunti per il programma in onda nell’etere – e nel 2001 un blogghetto era lo strumento online più veloce per pubblicare qualcosa sul Web – e di come i post musicali inizialmente fosse variegati e mischiati alla vita privata, alle recensioni di libri e film, a playlist e cronache di concerti. Poi l’arrivo degli mp3, la riscoperta del feed rss che permette di generare un podcast da distribuire anche su altre piattaforme – Spotify e Itunes, non vi temiamo! – e la mutazione definitiva in music blog: nel 2014 polaroid sarà l’unica presenza italiana tra i 100 blog musicali più influenti al mondo nella classifica di The Style of Sound.
Nella conversazione con Enzo, sono stati tirati in ballo anche la prima blog balotta emiliana e l’importanza dei contatti e delle relazioni nate o rinnovate sia on che offline, la sindrome dell’impostore” e la modalità slow blog . A favore di filologia, c’è da aggiungere che la pronuncia di NEU radio, la web radio co-fondata da Enzo dove attualmente si ascolta Polaroidè alla tedesca, come il gruppo musicale kruat dei Settanta. Il claim di uno dei jingle è “Si scrive neu, pronuncia noi, vuol dire nuova”.
A aprire e chiudere il tutto, la doppia intersezione con Davide Carbonai: con una rivelazione dalla vita rocambolesca di Enzo – Enzo Fonico, non Enzo di Polaroid – e con le prime riflessioni sull’efficacia di questo modo di fare il podcast. Il gancio finale a “Cronosisma” di Kurt Vonnegut potrebbe far ben sperare per la prossima puntata.
Intanto, se volete, sentitevi questa. Dura i soliti venti minuti.
Da queste parti si usano alcuni cookie. Si prende per buono che ti stia bene se clicchi OK o scrolli e navighi OKScopri di più
Privacy & Cookies Policy
Privacy Overview
This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may affect your browsing experience.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.