Pietro Ichino è entrato in fabbrica

Insomma a Pietro Ichino la fabbrica di Pomigliano è piaciuta.

Da "Il fantasma delle fonderie" di Filippo ScòzzariSecondo lui non c’è tutto quel rumore che uno può pensare, anzi; c’è una buona luce, ben distribuita, c’è l’azzurro dei vialetti e la segnaletica orizzontale, ci sono le pareti di  cristallo e i giovani operai con le tute bianche, pulitissime. E c’è il serpentone giallo.

Il serpentone giallo è innocuo, è un bravo bestione, mica vuoi chiamarla ancora catena di montaggio una cosa che si sposta su un nastro di parquet tirato a lucido? Mica vorrai essere così démodé? È il 2012, siamo ampiamente nel dopo Cristo – direbbe Marchionne – mica vorrai tirar fuori la storia dell’alienazione e della ripetitività? Siamo oltre la fabbrica integrata, il sudore non serve più, vuoi scherzare?

Ok, ora leggi qui sotto:

“La tecnologia, l’informatica, la rapidità di informazione hanno cambiato il modo di lavorare sia per il lavoratore addetto ancora alla produzione dell’industria manifatturiera, sia per il lavoratore addetto ai servizi. Il lavoratore non deve più svolgere una mansione controllata da un superiore. Il lavoratore non svolge più solo una mansione parcellizzata, standardizzata e ripetitiva. L’eliminazione della fatica fisica e delle fasi ripetitive e noiose della produzione, ora svolte dalle macchine, permette al lavoratore un ruolo più creativo. I cosiddetti colletti blu, ossia i lavoratori direttamente impiegati nella produzione, scompaiono e si trasformano nei colletti blu striati di bianco”
(tratto da “Operai” di Gad Lerner, 1988, p. 85)

Sono parole di Renato Brunetta tratte da un articolo intitolato La variabile temporale nella transizione tra società industriale e post-industriale, scritto insieme a Alessandra Venturini e pubblicato in “Economia e lavoro”.
Nel 1986.

Pensa che titoli lunghi ci volevano allora. Oggi per dire la stessa cosa basta un post.
‘Sti creativi, ne azzeccassero mai una.

Cogito ergo no SUV

Quest’immagine l’avevo preparata un anno fa; era un regalo a un amico e all’associazione che aveva fondato insieme ad altre persone per farne delle magliette e tirare su qualche quattrino per sostenere le iniziative.

Ora, visti gli ultimi fatti, la pubblico anche qui: servisse mai a riflettere sul fatto che per portare in giro, specie in città, una persona di – in media – una settantina di chili non occorre un veicolo che oltrepassa i 2600.

Cogito ergo no SUV

Piccola, ma seria

Forse sul blog un post di fine anno vale come un #FF2011 su twitter, forse è il segno che nel 2012 il vecchio strumento si prenderà una rivincita sui mezzi più veloci e interattivi come sono quelli del dopo 2.0., forse è solo bisogno di un punto fermo.

Insomma: forse è per questo che, dopo un 2011 intriso di fatti e sconvolgimenti di cui non si vede ancora la fine, mi viene da ricordare una frase che ho in mente da mesi e che vorrei facesse da degno apripista all’anno che viene;
è una frase tratta da “Il partigiano Johnny” che Beppe Fenoglio, uno scrittore che mi sta molto a cuore, fa dire al tenente Pierre, in risposta a un ufficiale fascista che gli chiede cosa ne sarà dell’Italia se vincono i partigiani.

Pierre così risponde al repubblichino in procinto di attraversare il fiume e lasciare Alba ai partigiani: “Una cosa piccola, ma seria”.

Default o euro che sia, questo è l’epilogo che vorrei per la nostra nazione, forse addirittura per l’Europa, fuori da grandeur dettate da indicatori superati come PIL, spread o G8 di sorta.

Sarebbe più che un inizio, intanto buona fine.

Io ricordo Genova

L’estate del duemilauno non passa mica così. Non la togli di mezzo con una scrollata di spalle e un sospiro dimesso.
Quell’estate lì è stata come perdere un sentiero, un percorso che per molti dei miei coetanei partiva dal movimento della Pantera, dai primi giorni dopo la caduta del muro, tra rovine che quando hai vent’anni non ti fanno paura perché a vent’anni stai con Durruti e pensi che erediterai il mondo – e chi a vent’anni non è così mi dispiace per lui.

Io ricordo GenovaL’estate del duemilauno è quella del G8 di Genova e del movimento che andò a contestarlo su argomenti e questioni oggi più urgenti che mai.
Era dieci anni fa e, per chi ci andò e per chi non ci andò, il ricordo di quei giorni è qualcosa di preciso, ancorato nel proprio vissuto.
Un ricordo da raccontare e condividere attraverso la narrazione collettiva di Io mi ricordo Genova, per ritrovarsi nelle parole altrui portando le proprie.

(hashtag di riferimento per la diffusione sui social media: #ioricordo)

Next Stop L’Aquila City

All’incrocio che abbiamo da poco passato la luce giallastra dei fari si è confusa con quella rossa degli stop di una macchina ferma a mezzo cavalcavia. Le quattro frecce accese, ha una iniziato una lenta retromarcia invadendo la linea di mezzeria. Abbiamo rallentato, aspettando che si fermasse. Intorno a noi l’arancio e il grigio dell’asfalto di un territorio che sembra disperso, ancora vivo, ma vulnerabile.

Fine marzo 2011: a quasi due anni dal sisma del 6 aprile, il racconto di due giorni passati a L’Aquila.
Alcuni giovani ci hanno guidato in quelli che erano e che sono diventati i loro luoghi d’incontro e di socialità.
Dalle piazze e le vie del centro storico alle strade e le rotatorie delle zone intorno, in attesa di una ricostruzione che non parte.

Una sorta di reportage, in forma di instant web site, rilasciato sotto creative commons: grazie a Martina, Alessia, Chiara, Iacopo, Simone, Giovanni, Martina e Daniele per la disponibilità nell’accompagnarci e per la gentilezza nel parlarci di loro e della città.

Schegge di Liberazione

È una specie di introduzione alla vita di Ivo Rossi, un partigiano del mio paesello d’origine in Toscana, ammazzato dai tedeschi in un rastrellamento nel novembre del 1944 vicino a Cuneo. Ivo Rossi aveva ventidue anni e combatteva nelle brigate partigiane della prima divisione Langhe, le stesse a cui apparteneva Beppe Fenoglio.

Era un post, comparso leggermente diverso anche su questo blog; un giorno dovrò parlarne di più e meglio, sia in video che a parole.

Intanto sono orgoglioso che su Schegge di Liberazione l’ingegnoso Many l’abbia pubblicato pochi minuti fa.

Leggetelo, da soli o in pubblico: per Ivo Rossi, partigiano tra gli azzurri del comandante Mauri, quelli in selvaggia parata quando Alba la presero in duemila il 10 ottobre 1944.

Nelle traverse di viale Rollet

Nelle traverse di viale Rollet: arabi, cabili, neri, mulatti, meticci, con i bambini aggrappati alle ginocchia o issati sulle sulle spalle, fissavano i legionari in marcia. Guardavano quegli uomini venuti da tutt’Europa, in guerra di religione, dominio e razza contro gli occhi a mandorla e l’Islam. Osservavano e tacevano. Sapevano, intuivano, che, presto tardi, sarebbe venuto il loro momento.
(Giulio Salierno, “Fuori margine”)

Questo finale volevo trascriverlo sul tumblr, il taccuino d’appunti online che uso da tempo, ma così facendo mi sarebbe sembrato di nasconderlo e invece ho bisogno di vederlo in questo bianco del blog come fossero parole da usare proprio ora che ne parlo – anche se a migliaia di chilometri di distanza – con il fratello Carbonai.
Perché Giulio Salierno, di persona e coi suoi libri, ci ha dato moltissimo a tutti e due e nelle traverse di viale Rollet, lui che c’è stato davvero, ha visto e saputo.