Insomma a Pietro Ichino la fabbrica di Pomigliano è piaciuta.
Secondo lui non c’è tutto quel rumore che uno può pensare, anzi; c’è una buona luce, ben distribuita, c’è l’azzurro dei vialetti e la segnaletica orizzontale, ci sono le pareti di cristallo e i giovani operai con le tute bianche, pulitissime. E c’è il serpentone giallo.
Il serpentone giallo è innocuo, è un bravo bestione, mica vuoi chiamarla ancora catena di montaggio una cosa che si sposta su un nastro di parquet tirato a lucido? Mica vorrai essere così démodé? È il 2012, siamo ampiamente nel dopo Cristo – direbbe Marchionne – mica vorrai tirar fuori la storia dell’alienazione e della ripetitività? Siamo oltre la fabbrica integrata, il sudore non serve più, vuoi scherzare?
Ok, ora leggi qui sotto:
“La tecnologia, l’informatica, la rapidità di informazione hanno cambiato il modo di lavorare sia per il lavoratore addetto ancora alla produzione dell’industria manifatturiera, sia per il lavoratore addetto ai servizi. Il lavoratore non deve più svolgere una mansione controllata da un superiore. Il lavoratore non svolge più solo una mansione parcellizzata, standardizzata e ripetitiva. L’eliminazione della fatica fisica e delle fasi ripetitive e noiose della produzione, ora svolte dalle macchine, permette al lavoratore un ruolo più creativo. I cosiddetti colletti blu, ossia i lavoratori direttamente impiegati nella produzione, scompaiono e si trasformano nei colletti blu striati di bianco”
(tratto da “Operai” di Gad Lerner, 1988, p. 85)
Sono parole di Renato Brunetta tratte da un articolo intitolato La variabile temporale nella transizione tra società industriale e post-industriale, scritto insieme a Alessandra Venturini e pubblicato in “Economia e lavoro”.
Nel 1986.
Pensa che titoli lunghi ci volevano allora. Oggi per dire la stessa cosa basta un post.
‘Sti creativi, ne azzeccassero mai una.