Raiperunanotte, sì

Per rielaborare e rinforzare il concetto di pubblico, per ridargli significato, slancio e attività può arrivare una nuova televisione o web tv pubblica, nel senso in cui intendono public broadcasting gli anglofoni: finanziata direttamente da chi ne usufruisce, senza pubblicità o segreterie di partito in mezzo.  Tipo la PBS o Democracy Now! per fare solo due nomi.

Può essere un esperimento utile e d’esempio perché altrettanti ne nascano sotto l’insegna del meccanismo della compartecipazione diretta e della diffusione in network: anche per questo i miei due euro e mezzo a Raiperunanotte glieli ho dati più che volentieri.

Rai per una notte

a milano fa freddo

[Grazie a Elisa che mi ha fatto conoscere questo documentario]

“una città come milano non può accontentarsi di affrontare il problema dei senzatetto solo per salvarli da una morte certa.”

a_milano_fa_freddoDa gennaio a marzo a Milano scatta l’emergenza freddo e, da diversi anni, il comune, attiva un piano attraverso il quale chiede alle associazioni di aprire le proprie sedi per garantire un tetto sulla testa a italiani e stranieri, giovani e non, immigrati regolari e rifugiati politici che non hanno una fissa dimora.

“a milano fa freddo” è un video di un ventina di minuti realizzato da alcuni volontari dell’associazione “Centesimus Annus”, uniti sotto il nome dieci78, che hanno prestato la loro opera durante lo scorso anno.

Un documentario che ha il grandissimo pregio di dare voce e un volto a quelle persone che si trovano ogni inverno a inventarsi un modo per sopravvivere e darsi una speranza, un progetto pur flebile per affrontare il domani. Anche dopo il primo aprile quando il piano anti-freddo finisce ufficialmente e devono riprendere la via della strada.

Questo è zero, questa è la vita. Lui adesso non è qui (al livello della vita) E dopo due giorni va qui” (ancora più in basso)  dice una delle persone intervistate. Sotto zero, sotto la vita, a Milano nell’anno 2010.

C’è una marcia in Danimarca

“Soltanto un movimento di persone può salvare la civiltà dalla crisi climatica”1

Simbolicamente non poteva esserci luogo più adatto: nelle terre di Amleto. A Copenhagen, sul vertice dei leader mondiali pesa una questione enorme eppure abbastanza sottovalutata. Le azioni e le misure da intraprendere per invertire la rotta dell’economia mondiale e evitare catastrofi ambientali irreversibili sembrano rimandabili sine die. I governanti sembra vogliano ripararsi alla meglio dietro balletti di cifre e parametri superati di gran lunga dalla cruda realtà.2 Civiltà o barbarie: that is the question. È il momento di saperlo, è l’ora di non concedere proroghe. Agendo.

A Copenhagen il movimento di persone questo lo sa. E incalza, contesta, smentisce e pungola il COP15 di questi giorni (United Nations Climate Change Conference Copenhagen 2009) con una pluralità di iniziative che si formano e arricchiscono anche grazie all’uso di blog, instant-site e l’uso coordinato dei social media. Siti come TckTckTck, 350.org, Climate Justice Action e Indymedia Danmark diventano veri e propri hub, crocevia di riflessione, coordinamento e azione dove i contenuti generati direttamente dai singoli individui, attivisti, citizen journalist operanti in Danimarca vengono aggregati, diffusi e condivisi secondo argomenti, hashtag o timeline specifiche. Meritoria in questo senso la media page di 350.org (lista di TwitteReporter, siti utili, live coverage)

A Copenhagen il movimento umano esiste e non è lo spettro del padre di Amleto sulle mura di Elsinore, poco dopo il cambio della guardia: è reale, numeroso e non ha da rivelare complotti e avvelenamenti passati perché lo fa già da molti anni,  non chiede vendetta per la terra, ma giustizia. Climatica e sociale, ora.

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  1. Fred Branfman, “Copenhagen Won’t Be Enough — Only a ‘Human Movement’ Can Save Civilization from the Climate Crisis”. []
  2. Secondo i dati dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni, i cambiamenti climatici obbligheranno duecento milioni di persone a abbondonare le loro terre entro il 2050. Secondo altre fonti, il numero di ecomigranti sarà intorno ai settecento milioni di persone. | Via Rassegna.it | Scalo internazionale []

Back in White

Uno sfondo così dichiaratamente bianco questo blog non ce l’ha mai avuto.
Nel primo lustro di vita (2001-2006) il background è sempre stato total black (#000000; per dirla in esagesimale) senza l’ombra di pattern a ripetersi in lungo o largo. Nella penultima versione era arrivata una prima concessione al grigio, con un sentore minimo di carta stropicciata, come un documento invecchiato sulla scrivania.

Ora si passa al bianco per diverse ragioni.
La prima è che così si tenta di dare al testo scritto più importanza rispetto all’interfaccia e alla grafica in generale. La seconda è che ci saranno molti più contenuti (e più frequentemente) rispetto a prima; negli ultimi due anni questo blog è diventato un’appendice sempre più rinsecchita delle mie attività sul web. Perché nel frattempo era arrivato il web 2.0 e tutto l’ambaradam dei socialcosi a prendersi il tempo che dedico alle attività digitali e alla mia presenza online. Nulla di nuovo sotto il sole: è successo a molti e siamo ancora tutti vivi.

Ma è ora di reagire.
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Internazionale festival | 2

Non fa sconti a nessuno Loretta Napoleoni: prima fra tutti all’economia.
La situazione per lei rimane grave e il fallimento dell’attuale sistema bancario assicurativo rimane una delle possibilità contro cui potremo andare a sbattere nei prossimi tempi. Strano periodo quello in cui i governi salvano le banche a forza di miliardi di dollari (c’era ancora Bush, non dimentichiamolo) e allo stesso tempo rimangono inerti quando si tratta di riformare in modo efficace e trasparente il sistema economico. La cosa tragica è che i politici non lo fanno perché non sanno quale nuovo modello adottare; i governanti hanno perso ogni tipo di controllo sull’economia e così brancolano, temporeggiano (in Italia portaporteggiano) mentre i peggiori spiriti animali si muovono quasi indisturbati per tutto il pianeta: è l’economia canaglia, forza oscura e nascosta, da sempre presente nella nostra società, che affiora nei momenti di crisi quale è questo profondissimo momento di transizione iniziato dopo la fine della guerra fredda e la scomparsa dei regimi del blocco dell’est; il muro di Berlino cade sulla testa delle donne,1 le prime a subire il processo di privatizzazione sfrenata e di messa in schiavitù che porta con sé l’avvento della globalizzazione.
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  1. “Abbiamo salutato con gioia l’abbattimento del muro di Berlino, peccato sia caduto sulla testa delle donne” (Commento di un’esponente della Duma russa) in: L. Napoleoni “L’economia canaglia”, il Saggiatore, 2008. []