“This is the dilemma: with the insurgents or alone. And this is one of the really few times that a dilemma can be at the same time so absolute and real.”
(Initiative from the occupation of the Athens School of Economics and Business, “We are here/ we are everywhere/ we are an image from the future” – December 11, 2008)
Da questa situazione ammalata di mal bianco o ne usciamo insieme o ci rimaniamo impegolati chissà per quanti anni ancora.
La salvezza individuale non è contemplata, la exit strategy solitaria porta solo a una frammentazione maggiore, a un rinchiudersi ulteriormente nel circolo del proprio privato, continuando a cavalcare l’onda lunga del riflusso. Ci si ritrova a curare il proprio giardino mentre la città inzia a bruciare.
Sarebbe un paradosso – di quelli che lasciano senza fiato – se la molla per farci uscire di casa e ritrovarci insieme per costruire un futuro diverso fossero i social media. Proprio lo strumento che sembra fatto apposta per darci l’illusione di operare concretamente alla trasformazione della società senza spostarsi dal divano. Sarebbe una roba fantascientifica: un po’ come se le nostre identità digitali a un certo punto si stufassero di star lì a condividere solo ottetti di bit e decidessero di volere qualcosa di più; come i replicanti di Blade Runner: affascinante ma molto improbabile.
Tuttavia esistono modi diversi di usare la Rete e le sue comunità fluide. Senza che ci si affezioni troppo al mezzo – perdendo di vista la concretezza dell’obbiettivo finale e rischiando il cyber-utopismo o lo slacktivism – si può provare a mischiare di più e meglio realtà fisica e interazione digitale, esperienze reali e organizzazione in rete.
Un esempio concreto, uno stimolo per iniziare?
In “La partecipazione politica e la rete: che fare?” Tigella ci porta come esempio ciò che stanno facendo gli attivisti egiziani con i #tweetnadwa: un’invenzione attraverso la quale stanno discutendo pubblicamente e facendo conoscere argomenti come giustizia sociale, la riforma del servizio sanitario nazionale o la violenza sessuale.
Con tutti gli strumenti possibili – on e offline, novecenteschi e degli anni zero, senza manicheismi inutili e controproducenti – qui c’è da farsi sentire e uscire dall’abulìa, oltreapassando il buzz generato nei social network.
Con gli hashtag o senza, va bene lo stesso: l’importante è non rimanere inermi o scrollare le spalle sbuffando che tanto a noi non succederà mai.