Di ritorno dall’Olanda ho trovato una sorta di equilibrio furioso: l’ho chiamato ISI.
D’istinto si potrebbe anche intenderlo come l’inglese “easy”, ma è qualcosa di diverso.
Prima di tutto è l’acronimo sia di “Io Sono Inutile” sia di “Impenitente Superbia Interna”.
È lo stato mentale da collocare a metà tra il freno alla voce rotta dai porcoddio per le fatture non pagate e l’acceleratore dei minuti storpiati dall’accidia.
È l’attitudine che viene dal ricordo dell’«è triste assistere agli sforzi che fai per essere come gli altri» del Cacciooppoli martoniano come dall’incompatibilità alla tirannide dei parecchi che mi spaccano il cazzo da trentasett’anni in qua.
Ogni angolo di strada, ogni pietra o sasso di città e paese, ogni zolla di campo raccoglie una sua storia: ISI è il tentativo di rispettarle tutte con l’illusione di inscenare da solo la propria.
Senza avere nessuno sopra (super), senza lasciare qualcuno sotto.
ISI è molto altro, ma ancora non lo so.
Finché dura.