Questo è ciò che ha detto Donald Tusk, presidente del Consiglio europeo, nell’incontro di oggi a Atene con Alexis Tsipras:
And this is why, here from Athens, I want to appeal to all potential illegal economic migrants wherever you are from: Do not come to Europe. Do not believe the smugglers. Do not risk your lives and your money. It is all for nothing. Greece or any other European country will no longer be a transit country. The Schengen rules will enter into force again.
Traducendo al volo, per chi non conosce l’inglese:
“Ed è per questo che, qui a Atene, voglio rivolgermi a tutti i potenziali migranti economici illegali di qualsiasi luogo voi siate: non venite in Europa. Non date retta ai trafficanti. Non rischiate le vostre vite e i vostri soldi. Non serve a niente. La Grecia o qualsiasi altro paese europeo non sarà più una nazione a voi accessibile. Il trattato di Schengen entrerà di nuovo in vigore.”
Eccoli qua, Tusk e la fortezza Europa nell’anno 2016.
Si sa: la guerra è peggio della fame. La fame si può sopportare. Si può sempre provare a dormire, magari si ha la fortuna di morire nel sonno, senza dare noia a nessuno. La guerra, eh, la guerra bisogna saperla aspettare, non siate impazienti. Se sopravviverete alla fame, o al clima infame, alle torture, alle vessazioni o alle ingiustizie del luogo dove siete nati, alla fine prima o poi, vedrete che una guerra arriverà anche da voi. O una catastrofe naturale. Non un’epidemia, mi raccomando: con quella ve ne state buoni buoni a casa vostra e noi dall’Europa al massimo vi mandiamo qualche medicinale. Insomma: meglio la fame della guerra. State lì dove siete, penseremo anche a quello, se non ci riuscite da soli.
La dignità di una risposta – indiretta – alle parole di Tusk in questo cartelli, in una foto di oggi da Idomeni al confine tra Grecia e Macedonia.
Consider for a minute the “invasion” these leaders are moving against. Figures show 34% of refugees are children, thousands of them unaccompanied. Another 20% are women. The vast majority of these people are families fleeing conflict. Just under half are Syrians escaping Islamic extremism themselves. The refugee influx amounts to less than 0.5% of the European population. This was never an unmanageable problem for the EU: it is an issue only for nation states. But resorting to nationalist fixes is a cheap solution.
Ieri sera mi sono imbattuto in questo post di Alex Andreou su twitter e mi è sembrato un’ottima cosa tradurlo e rilanciarlo insieme alla fotografia che ritrae una lunga fila di persone nella città di Porto.
Prima di pubblicarlo, avevo fatto un minimo di controllo e, già all’interno del lungo thread generato dal post in questione, avevo trovato alcunerisposte di persone che vivono in Portogallo e che confermavano la veridicità dell’immagine. In più c’era il fatto che mi fidavo – e mi fido – come fonte di Alex Andreou.
Stamattina mi sono accorto che il mio tweet aveva ricevuto un numero abbastanza alto di retweet e mi è venuto lo scrupolo di controllare meglio l’origine della foto, anche grazie a una persona – nickname in fabula: Irragionevole dubbio – che mi aveva detto che l’immagine girava online almeno dal 2013. Ho controllato con più cura e è vero: la foto risale almeno al 2013. Questo blog, per esempio, pur avendola pubblicata nell’agosto scorso, ha conservato la didascalia che compara la situazione portoghese del 1945 e quella, appunto, del 2013.
Per onestà intellettuale questa cosa mi sentivo di dirla e di ridiffonderla anche su twitter – e spero serva a ricordarmi sempre di stare molto attento prima di diffondere un avvenimento di cui non sia stato testimone diretto.
Però non pensiate che adesso le file per un pasto gratuito in Portogallo non ci siano più e che grazie alle meravigliose cure della troika il paese stia meglio: niente affatto. Piuttosto è vero che l’austerity e i danni son ben visibili: a livello economico e a livello democratico.
Insomma: la foto è vera come purtroppo è vera la situazione di crisi, e in un modo così acuto che sembra che anche i socialisti portoghesi – che non sono di certo Syriza o Podemos né tanto meno rivoluzionari – sembrerebbe che vogliano combatterla davvero.
Sono cresciuti in numero e ingiustizie: da 324 nel 2000 a 463 nel 2012, i CIE (centri di detenzione e espulsione) che punteggiano le nazioni della fortezza Europa sono l’esempio più sintomatico e visibile delle disastrose politiche sociali dell’attuale UE. Continua a leggere…
Cinque anni fa, di pomeriggio: i giovani greci sono in strada da giorni, dalla notte di sabato 6 dicembre quando a Atene un poliziotto ha sparato e ucciso Alexandros Grigoropoulos, 15 anni. Manifestazioni pacifiche e violentissime. Veglie e scontri, occupazioni e cortei, sit-in e molotov. Per settimane di fila, come non accadeva da un po’ in Europa.
in diretta ora su radio catrame 19: “I greci fuochi” seguendo e commentando social media e fonti web | http://tinyurl.com/5ncx25
Era il 10 dicembre del 2008 e provavo a trovare notizie sui #griots sul web.
Si capiva che c’era molto di più e quei frammenti – testuali, fotografici o video – che arrivavano online non ce la facevano a dirla tutta. Eppure erano testimonianze utili perché provenienti direttamente da chi era in strada e partecipava alle proteste.
Approntammo una diretta su radio catrame 19, eravamo io e il sociologo Calzolai. A turno si cercavano aggiornamenti e conferme. Si traduceva al volo, si scorrevano le immagini su flickr. Lo chiamammo pomposamente social media live coverage: in realtà, volevamo solo sapere quello che stava accadendo e far sapere – a quel pugno di web-ascoltatori che ci seguiva – che in quei giorni in Grecia stava scomparendo il futuro di diverse generazioni. Generazioni che se ne accorgevano e decidevano di non stare più zitte e buone.
L’ho cercata invano: la registrazione di quella puntata – I greci fuochi – non esiste più; è rimasta solo una sorta di copertina/banner. Come un’immagine dal futuro.
Domani comincia il giorno in cui non c’è più nessuna certezza. E cosa può esserci di più liberatorio, dopo così tanti anni di certezze granitiche? Una pallottola è riuscita a troncare la brutale successione di giornate sempre identiche. L’assassinio di un quindicenne è stato il momento che ha innescato uno sconvolgimento così forte da scuotere il mondo da capo a piedi.
“We are here/ we are everywhere/ we are an image from the future” è stato scritto quattro anni fa dagli occupanti della facoltà di Economia di Atene, cinque giorni dopo l’assassinio di Alex Grigoropoulos da parte di due poliziotti nel quartiere di Exarchia a Atene.
Poi è il turno di Rossana Rossanda, una delle fondatrici del giornale, insieme a Lucio Magri, Luigi Pintor, Luciana Castellina, Valentino Parlato e Aldo Natoli. Nelle poche righe della sua lettera di commiato, la ragazza del secoloscorso prende atto dell’“indisponibilità al dialogo della direzione e della redazione” e annuncia la fine della sua collaborazione, anticipando che “a partire da oggi un mio commento settimanale sarà pubblicato in collaborazione con Sbilanciamoci“.
I rapporti rimangono tesi: prova ne è uno strascico polemico sui modi e i tempi di pubblicazione della lettera di Rossanda tra MicroMega (che per primo l’ha resa pubblica online) e il manifesto. Spiega Jospeh Halevi in un post scriptum alla sua lettera: “Tutte le principali testate stanno riprendendo la notizia data da MicroMega, ma molte, nel riformularla, danno adito all’equivoco che Rossana Rossanda abbia mandato a MicroMega la sua lettera per la pubblicazione, mentre la fondatrice del Manifesto ha mandato la lettera solo al suo giornale, mentre MicroMega ne ha dato notizia non appena ne è venuta in possesso, non da Rossanda ma da ambienti della redazione stessa del quotidiano).” In un commento sul sito del manifesto di Bologna la redazione del manifesto rispondecon un suo post scriptum.
Rossanda dice addio al ManifestoRossana Rossanda lascia il Manifesto. Una delle fondatrici della storica testata della sinistra italiana se ne va, con una lettera (che q…
Il rifiuto di Rossandaluissgiornalismo
“Siamo qui” titola la prima pagina dell’edizione del 27 novembre “La notizia siamo noi. – si legge nel sommario – Tra dolorosi abbandoni e polemiche ritirate, tuttavia qualcosa di buono c’è ancora: la volontà di ricominciare insieme. E di cambiare. Noi con voi. Impresa naturalmente difficile, ma non impossibile.” Sotto, accanto a una foto della Rossanda, il breve messaggio di addio al giornale. .
#laprima del manifesto su Rossanda #siamoqui (e dentro il giornale c’è molto di più) http://pic.twitter.com/pj3kxkxiil manifesto
L’ editoriale in prima pagina è firmato da Norma Rangeri e ha come titolo “Il tempo non è scaduto”. Riguardo alle parole di Rossana Rossanda, l’attuale direttrice dice di non condividere “la critica sull’indisponibilità al dialogo: è ingenerosa e ingiusta”; più sprezzante il termine che usa per ribattere a quelle di Joseph Halevi: “solo qualche sciocco può definire [la redazione] «manipolo»”. Le diverse idee di concepire il giornale non sembrano riuscire a convivere: le diversità di linea si sono trasformate “in rottura delle relazioni, anche umane, in separazioni traumatiche”. Rangeri si rende conto che le rotture possono non essere più recuperabili, ma ripete che “il tempo del confronto non è scaduto”, esortando alla partecipazione e al dibattito sul sito e sul giornale che rimarrano aperti “fino alla scadenza prevista dall’amministrazione controllata. Poi sarà un’altra storia”.
Il tempo non è scadutoCare compagne e cari compagni, care lettrici e cari lettori, molti di voi già sanno della decisione presa da Rossana Rossanda. La decisio…
L’articolo genera sul sito una sessantina di commenti [qui non linkabili: togliete quel javascript, se potete N.d.R]. Sono in molti a criticare la direttrice – qualcuno la invita a dimettersi – imputandole una gestione fallimentare sia nella linea politica (troppo moderata) sia nella trasparenza e nella partecipazione. Altri solidarizzano con lei, altri ancora si dispiacciono per l’unità perduta e le fuoriuscite. Alcuni, infine, si lamentano per il tono usato in alcuni (pochi) commenti.
Il titolo del giornale cartaceo trasformato nell’hashtag #siamoqui, viene usato nei giorni seguenti da chi interagisce, riprende o commenta la situazione del il manifesto su twitter.
Naturalmente non ci riusciremo da soli. Non tutto dipende da noi. Anzi, tutto dipende da voi. #siamoquiil manifesto
#siamoqui scrive domani Il Manifesto in prima. Ma è un plurale majestatis del titolista? #rossandanaracauliz
Fare il manifesto non è facile ma anche fare il lettore del manifesto talvolta non è da meno cmq #siamoqui con il @ilmanifesto2012Andrea Ricci
#siamoqui e #IlManifesto, come ogni mattina, è sulla mia scrivania.C.
La ragazza del ’24 è modernissima e già ci manca. #ilmanifesto, torna nel tuo spazio e il tempo continuerà ad essere.#siamoquisilvia losco
@officinaenoica: #siamoqui da sempre ogni mattina @ilmanifesto2012 ci da il buon giorno http://officinaenoica.orgOFFICINA ENOICA
A rispondere all’editoriale di Norma Rangeri, oltre ai commenti sul sito, cominciano a arrivare anche altri contributi.
Claudio Magliulo, giornalista al manifesto da due anni, riprendendo e ribaltando il titolo dell’editoriale di Norma Rangeri, scrive sul suo blog e sul sito de il manifesto di Bologna: “Il tempo è scaduto, lo dico con profonda tristezza ed amarezza. E persino il colpo di coda di una mail privata e personale (sopra o sotto le righe importa poco) inviata da Marco D’Eramo e pubblicata sul giornale come lo scalpo di quella che fu una delle penne di punta del giornale, fa parte di un epilogo osceno, che si sta consumando sotto i nostro occhi increduli e insofferenti.”
Perchè il tempo è scadutoInizio con una breve nota personale (me lo perdonerete, perché penso sia utile a capire chi siamo e da dove veniamo). Sono un giornalista…
Alcune testate online, oltre a dare notizia della defezione di una firma storica come Rossanda, si soffermano su questioni più ampie o lasciano la parola a ex giornalisti del quotidiano comunista.
Tarcisio Tarquini su Rassegna.it ricorda che tra i motivi economici alla base della crisi economica de il manifesto, c’è la riduzione ai minimi termini del fondo per i contribuiti all’editoria; questione che riguarda non solo il manifesto ma molte altre testate della stampa di sinistra, “dal settimanale Carta – il primo a cadere – all’Unità a Rassegna Sindacale.”
La crisi del Manifesto e quella degli altri – Rassegna.itIl fondo per i contribuiti è ridotto ai minimi termini nella pressoché totale indifferenza verso una crisi che investe soprattutto la sta…
Il Foglio, con un titolo tra il funereo e il fatalista, pubblica gli interventi di alcuni ex giornalisti del quotidiano fondato nel 1969: da Riccardo Barenghi a Ritanna Armeni, da Giampiero Mughini a Lucia Annunziata. Il manifesto sembra rispondere via twitter riadattando una citazione di Mark Twain.
Manifesto morente, parla chi lo amò e lo lasciò – [ Il Foglio.it › La giornata ]I fuoriusciti Jena cita Pintor. Poi D’Eramo, Armeni e Annunziata. Mughini però tace Roma. "Non una parola sul manifesto. Ci sono stato tr…
"La notizia della morte del manifesto è ampiamente esagerata"… Non stiamo bene ma #siamoquiil manifesto
Pochi giorni prima del suo abbandono, Rossana Rossanda è stata intervistata da Marco Berlinguer per Pubblico: rispondendo a una domanda sui movimenti e su come farà il 99% a sconfiggere l’1% ha detto: “Sì, sono pessimista. Però penso anche che qualcosa rinascerà. Guarda: la sola ragione per cui mi dispiace di morire è non vederla. Anche perché questa volta non sarà in una società arretrata, come è stato con l’Urss. Questa volta – anche grazie a internet e alla rivoluzione delle comunicazioni – la protagonista sarà una società acculturata. E sarà diverso”
Rossana Rossanda: "Qualcosa rinascerà. Ma questa volta sarà diverso"Rossana Rossanda vive a Parigi da tanti anni. Ha una casa sulla Senna: sulla Rive Gauche, naturalmente. La palazzina ottocentesca ha un’a…
A Internet e alla comunicazione si affidano anche le iniziative delle prossime settimane. Nessuno al momento lo sa per certo: lo chiameremo ancora il manifesto?
++ Avete domande sul manifesto? Venerdì 30, dalle 16 alle 17, Norma Rangeri risponde ai lettori in diretta su facebook #siamoquiil manifesto
Che tu possa vivere tempi interessanti, così suona una vecchia maledizione cinese.
E il 2011 lo è stato di sicuro: un anno di scricchiolii e rivolgimenti, di crolli immateriali e concretissimi fuochi. Altro che fine della storia, siamo solo agli inizi, terrificanti in alcune prospettive, ancora pieni d’incognite, ma maledettamente interessanti.
Un anno così si poteva raccontarlo solo con uno sforzo collettivo, con un’aggregazione di autori accomunati da quella passione che il seguire, il partecipare e il raccontare queste vicende esige. L’importanza dell’algoritmo umano anche stavolta è stata determinante: costruire e poi rilasciare Year in Hashtag è stato entusiasmante per questo.
Per tutti gli attori dei social network che ci hanno prestato le loro testimonianze dirette; per le intelligenze e le capacità di Claudia, Luca, Marina e Mehdi all’opera in un’azione coordinata che solo la Rete e le relazioni basate sulla fiducia permettono; per tutti quelli che ci hanno messo del loro con consigli, supporto e incoraggiamenti: ulteriori ringraziamenti e la genesi dell’impresa li ha descritti benissimo Claudia nel suo ultimo post.
Ora basta che altrimenti divento sdolcinato e invece il 2012 avrà bisogno di tutti i nostri strumenti migliori, senza fronzoli o disincanti postmoderni, sulla tastiera come in mezzo alla strada.
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