Cosa farebbe Werner Herzog?

La Rogue Film School non è per i deboli di cuore; è per quelli che hanno viaggiato a piedi, che hanno fatto il buttafuori in un night o il custode in un manicomio, per quelli che hanno voglia di imparare l’arte dello scasso o della contraffazione dei permessi per girare un film in paesi ostili…
(dalla home page della Rogue Film School)

Lo chiameremo Laszlo Brauning, usando lo stesso pseudonimo che questo filmmaker di New York ha scelto per raccontare la sua storia.

Grande ammiratore di Werner Herzog, Laszlo decide di iscriversi ai tre giorni di seminario che il regista tedesco periodicamente tiene in un weekend per cinquanta-sessanta persone, usando il sito web della Rogue Film School per scegliere tra coloro che si iscriveranno. Si pagano 25 dollari per inoltrare la domanda, si scrive una motivazione, si allega un corto e, se si viene scelti, si pagano 145o dollari per partecipare.

Laszlo si propone via web, viene scelto e riceve le informazioni riguardo a luogo, data e programma. Solo che non ha il becco d’un quattrino per pagare i mille e passa dollari e non può farseli prestare perché, poco tempo prima, per girare il suo primo film a Brooklyn, ha già chiesto a amici e parenti e a chi volontariamente gli ha fatto da troupe.

Che farebbe Werner Herzog in questo caso?

herzog_kinskiIl filmmaker si ricorda di aver sentito che l’autore di Fitzcarraldo una volta aveva rubato una macchina da presa dalla scuola di cinema di Monaco dicendo poi che prendersela fosse un suo diritto naturale. Dopo aver scartato l’idea di falsificare una ricevuta di Paypal mr. Brauning decide semplicemente di imbucarsi al seminario e si reca al bar dell’hotel dove si tiene l’incontro di benvenuto per i partecipanti. Herzog è attorniato dai suoi studenti coi quali cerca di parlare un po’ alla volta. Laszlo si mette a parlare con due ragazze che, come tutti gli altri, hanno un badge al collo,  il badge di chi ha pagato e può frequentare il seminario ambìto. Riesce così a tenerlo in mano per un po’ studiandone i particolari, poi torna a casa e, dopo essersi fatto dare da un amico un contenitore e una cordicella simili, lavora di Photoshop per taroccarne uno per sé. Una sciarpa e una giacca che semicoprono il falso badge e il giorno dopo Laszlo sgattaiola dentro.

Il fillmaker riesce a assistere, senza farsi scoprire, fino al terzo e ultimo giorno quando un’assistente del regista, al quale non si è mai presentato, gli chiede il nome e poi piglia il cellulare per controllare. Ma Laszlo è già a rotta di collo per le scale che lo portano all’uscita con le parole di Herzog che ancora gli frullano nei timpani: “When Klaus Kinski is foaming at the mouth, raging at you for two hours and a half… you must dazzle him by biting into the last piece of chocolate that you have.”

Le candidature al prossimo seminario della Rogue Film School si aprono domani: se vi scelgono e non avete un euro, ma specialmente, non temete l’ira (o i complimenti) di chi ha diretto e affrontato Kinski in mezzo alla foresta, potete provare anche voi.

Quando cede anche la BBC

Alla fine la BBC ha ceduto,1 decidendo di ritirare un servizio di Newsnight, uno dei suoi programmi storici, sui presunti rifiuti tossici scaricati nell’agosto del 2006 a Abidjan, in Costa d’Avorio, da una nave facente capo alla Trafigura, colosso mondiale nella fornitura e nel trasporto di petrolio e idrocarburi. Nel servizio si ipotizzavano legami tra gli scarichi della nave Probo Koala e le morti, gli aborti spontanei e le gravi malattie che i cittadini di Abidjan hanno da allora sofferto.

Nel maggio scorso2 i legali della Trafigura avevano denunciato la BBC per diffamazione mentre, a loro volta, trentamila cittadini ivoriani intentavano la più grossa causa collettiva contro la oil trading company, responsabile, secondo loro, della temibile situazione sanitaria verificatasi nella ex capitale della Costa d’Avorio.

A diversi mesi di distanza dalla denuncia molti blog e altri online media si sono accorti che il video di Newsnight sulla vicenda era sparito dall’archivio del sito della BBC. Molti di loro l’hanno scaricato e rimesso in circolazione su YouTube per non farne perdere memoria.3

E così si arriva oggi quando la BBC, di fronte a tre milioni di sterline di costi legali, ha deciso di ritirare video e articolo, chiedendo scusa e devolvendo venticinquemila sterline in beneficenza richieste dalla Trafigura come risarcimento.4 In una combattiva dichiarazione di poche ore fa la BBC ha comunque rivendicato il suo ruolo nell’avere portato la vicenda a conoscenza dell’opinione pubblica e dell’attenzione internazionale.5

Da ricordare che a metà settembre scorso, la Trafigura aveva improvvisamente proposto un accordo6 agli avvocati dei cittadini ivoriani, accettando di pagare un risarcimento da trenta milioni di sterline, riuscendo a vedere classificati solo come “low-level illness” i danni causati dalle 500 tonnellate di rifiuti pericolosi finite nella laguna di fronte a Abidjan. L’accordo era stato raggiunto e in questo modo “deaths, miscarriages, serious injuries and sickness with long-term chronic effects” rimanevano termini da regolare con Newsnight e la BBC. Che stavolta, viste le cifre, ha dovuto cedere.

[UPDATE] In Gran Bretagna PEN e Index on Censorship hanno lanciato Libel Reform, una campagna nazionale per la riforma della legge sulla diffamazione che, nella sua forma attuale, protegge solo i ricchi e i potenti (as much as offshore oligarchs) dai loro critici e dall’opinione pubblicata che così può essere difficilmente informata.

[Per chi volesse seguire la vicenda questo l’hashtag da cercare su twitter e sugli altri social media]

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  1. Trafigura v BBC: Statement in open court | Newnight – BBC []
  2. Newsnight sued over toxic waste claims | David Leigh, The Guardian []
  3. cfr. Richard Wilson | blogIan Dale | blog –  Alan Rusbridger, direttore del Guardian, rilancia via twitter il post di George Eaton | The New Statesman – blog []
  4. Libel: BBC backs down on Trafigura report | Index on Censorship for Free Expression []
  5. BBC settles Trafigura libel case | David Leigh, The Guardian []
  6. Trafigura reaches a global settlement | David Leigh, The Guardian []

Le manifestazioni del 6 dicembre in Grecia

[teacher dude è un professore di lingua inglese che vive a Salonicco. Come citizen journalist e fotografo ha raccontato, attraverso il blog e i social media, le manifestazioni di protesta del dicembre scorso e di quest’anno in Grecia. Questa cronaca è il resoconto della sua partecipazione alle manifestazioni di domenica scorsa, 6 dicembre, a Salonicco, anniversario dell’assassinio del giovane Alexis Grigoropoulos da parte della polizia, nel quartiere Exarchia di Atene]

[La traduzione è mia, ma se avete consigli nel raffronto con l’originale in inglese, l’editing è ancora aperto. Grazie]

SALONICCO – Non c’è nulla che eguagli il terrore cieco nel farti accorgere che sei vivo. Ogni impulso sensoriale t’accende all’istante i neuroni, manco fossero un isolato addobbato di luminarie sotto Natale. Improvvisamente diventi consapevole di tutto ciò che ti circonda, le decisioni che di solito ti ronzano in testa per qualche minuto sono prese in una frazione di tempo vicina ai centesimi di secondo. Quello di cui non t’accorgi, comunque, è il dolore.

Insieme a circa duecento persone, dopo essere stati inseguiti per più di un chilometro dai poliziotti antisommossa e da quelli in motocicletta, finiamo sotto il palazzo del ministero. Ci troviamo bloccati, senza nessuna via d’uscita e coi poliziotti che continuano a sparare lacrimogeni in mezzo alla folla nonostante non possiamo spostarci in nessun altro luogo. Vedo se riesco a passare, ma quelli che stanno davanti a me impegnati a farsi picchiare e farsi prendere a calci dalla polizia, sono costretti a rientrare nella massa dei dimostranti. Un candelotto lacrimogeno, sparato da un’arma che somiglia a un vecchio revolver, rimbalza sull’asfalto e mi colpisce alla gamba. Nel panico generale non gli presto attenzione, più preoccupato dal fatto che sono tra i prossimi a essere picchiati per poi tornare indietro. Ma indietro dove? Da qui non c’è via d’uscita.

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Honduras: lo stallo dopo l’accordo

[articolo scritto per Filtr]

Sono passati quattro mesi dall’alba del 28 giugno quando Manuel Zelaya, presidente dell’Honduras democraticamente eletto, è stato arrestato nella sua abitazione e trasportato a forza fuori dal paese. Per Zelaya sono state settimane di spostamenti, tentativi di rientro, possibili negoziati e incontri mentre nel paese un fronte di resistenza al golpe ha continuato a manifestare e a opporsi al governo di Roberto Micheletti, il presidente de facto insediatosi dopo il golpe. Quattro mesi di tensione continua, di repressione, con più di venti morti, centinaia di arresti, coprifuoco, censura e chiusura dei mezzi di comunicazione ostili al governo. Alla fine di settembre il presidente golpeado era riuscito a rientrare a Tegucigalpa rifugiandosi nell’ambasciata del Brasile; per tutta risposta Micheletti aveva promulgato un decreto che sospendeva i diritti civili e aumentava la repressione nei confronti di chi si opponeva e resisteva da quasi cento giorni al golpe.
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