Internazionale festival | 1

Dave Randall, senior editor all’Independent on Sunday, è un giornalista che crede nel citizen journalism. A chi tra il pubblico gli chiede come fare a farsi pagare risponde che non si fa giornalismo cittadino spinti da questo motivo. Se a qualcuno succederà sarà una cosa secondaria perché la principale motivazione del raccontare i fatti senza essere iscritto all’ordine va ricercato nel valore democratico che il gesto ha in sé: usare gli strumenti del giornalismo classico per informarsi a vicenda, cercare di narrare delle storie, trovare e applicare una linea narrativa. “Se ci tieni abbastanza lo puoi fare da ora” ed è uno dei migliori contributi alla libertà di pensiero e di informazione.

Durante l’incontro con Randall sfilano pezzi di contributi video ideati e realizzati interamente da giornalisti e videogiornalisti non professionisti; è un’iniziativa degli stessi organizzatori che insieme al giornalista inglese ne hanno selezionato una decina. Il primo video ha come protagonista una molecola cancerogena, l’acrillammide, che si sprigione friggendo, per esempio, le patate a temperature: ha un taglio alla Report con tanto di voce off e di intervistatore che si fa riprendere durante le interviste; il secondo è realizzato nel porto di Ischia dove si vedono delle navi che scaricano in mare liquami color merda – musica di sottofondo senza parole. E a seguire estratti da:”Come Serafino” in cui l’autore segue e ascolta due pastori di Pordenone in piena transumanza il giorno dell’elezione di Barack Obama; “Made in China” – per la realizzazione tecnica è forse il migliore ma è forse il meno journalism di tutti – offre una serie di immagini di strada e di lavoro, opportunamente montate, ridandoci uno spaccato della Cina odierna; “I phone center” racconta la storia di molti phone center di Vicenza costretti a chiudere per un’ordinanza che prevedeva l’apertura obbligatoria di due bagni all’interno dei locali; “La vera storia di Aline” con il paradosso tutto italiano di Aline che a diciotto anni diventerà suo malgrado clandestina in caso non possa iscriversi all’università o non riesca a trovare un lavoro a tempo indeterminato; “Gli affari sono affari”, video di denuncia di un’azienda di Padova che “collezionava” rifiuti tossici e altre sostanze pericolose; “Otto senza un tetto” che mostra e descrive i container di una sorta di bidonville alle porte di Palermo.

La sala è pienissima, le domande fioccano e Randall risponde in maniera esauriente e ironica, non dimenticando di lasciare la sua solidarietà a chi domani manifesterà per la libertà di stampa. Qualcuno chiede chi controllerà le fonti – questione più che ricorrente da Platone in giù. Randall risponde “nessuno” ribadendo che il problema dell’affidabilità vale per tutti, anche per i media mainstream e che è sempre l’esperienza del pubblico (di chi legge, di chi guarda, di chi ascolta) a poter dire se qualcosa è vero o meno.

Dopo una piadina crescenza e prosciutto (buona, ma con una sete infernale a fargli da effetto collaterale) si va da Gipi, uno dei pochi disegnatori al mondo che tiene il palco come una rockstar. L.M.V.D.M. al teatro comunale viene segnalata come edizione deluxe, ma è lo stesso Gipi a dire che non è vero e che ci hanno fregati: il reading concerto in effetti si snoda come sempre e come sempre è davvero ganzo. Stavolta non ci sono le tavole proiettate alle spalle dell’autore, ma c’è un batterista, oltre al chitarrista e al tastierista che accompagnano il lungo pisano nel suo racconto al dottor controluce. Un bis con un orso livornese (Gigi balla?) che dice sempre “cazzo” e trotta nel finale blues-funk – anche se non si doveva – e poi Gipi saltella dietro le quinte col teatro ad applaudirlo convinto.

Il primo giorno finisce con il concerto de le luci della centrale elettrica nella sala estense che non può contenere tutti quelli che avrebbero voluto entrare. Vasco Brondi lo si conosce da un bel po’ e lo si apprezza fin dai tempi in cui c’aveva tre-canzoni-tre su Myspace che si mandavano su radio catrame19. Stavolta non c’è Giorgio Canali, ma un’altra chitarra elettrica, un violoncello e un violino, suonati con le distorsioni giuste per illustrare le catrastrofi degli anni zero. Oltre ai pezzi del suo ultimo lavoro su cd arriva una cover de “La domenica delle salme” e il risultato è ottimo. Così come l’urlo finale, reiterato, già letto qualche canzone prima: “La disperazione è una forma superiore di critica, per ora possiamo chiamarla felicità”. Leo Ferré e tutti a letto.

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