Ma il manifesto che fa?

Come giornalisti e lavoratori dell’informazione sappiamo che l’espropriazione delle parole, la loro sussunzione alla cultura dominante, costituiscono alcuni dei tratti peculiari più significativi dell’attuale assetto sociale. L’azienda contemporanea si è ridotta a essere organismo qualsiasi rivolto unicamente al conseguimento di uno scopo economico. Non conta cosa e perché si fa. Ciò che conta è fare profitti.
Il manifesto naturalmente è ben lontano da questa logica e non persegue questo scopo. Così come è lungi dal trasformarsi esclusivamente in un’azienda. Il manifesto non diventa «l’azienda manifesto».
Ma per conseguire i nostri scopi abbiamo la necessità di diventare anche una azienda.

[…]

Il tutto per corrispondere alle crescenti esigenze di vasti settori, dal mondo del lavoro alle associazioni che ci chiedono sia di fornire strumenti efficaci e aggiornati per comprendere e decifrare la realtà odierna e il futuro, sia di sostenere e dare voce a chi si batte per costruire un altro mondo possibile. Non è un compito esclusivamente economico, è invece un obiettivo eminentemente politico. Il tratto aziendale del manifesto deve affrontare i suoi problemi economici in sintonia con i suoi scopi. L’economia che ci permetterà di reggere e di svilupparci dovrà essere all’altezza delle nostre idee politiche e in sintonia con esse. Dalla nostra sicurezza economia dipende la forza delle nostre ragioni e viceversa.

(“la prossima sfida del manifesto”, 12 dicembre 2007)

Si parlava del vuoto totale, in termini più fantascientifici che politici. S’era al telefono io e il mio sociologo preferito: il fraterno professor Calzolai.
Che a un certo punto mi chiede:
“Ma te l’hai letto quell’articolo sul fatto dell’azienda sul manifesto di questi giorni?”
“Credo di no, questa settimana l’ho comprato solo il martedi” – gli fo io – “Aspetta, guardo sul sito, ci dovrebbe essere”

Sicché lo leggo. E poi col Calzolai si parla del quadrotto pubblicitario piazzato accanto al fogliettone in questione.
E’ questo che vedete qui accanto.il manifesto | prima pagina | 12/12/07

La telefonata è finita con tutt’e due che ci si chiedeva, abbastanza increduli e a vicenda: ma ‘nsomma icché fanno quelli del manifesto?

3 comments

  1. Ho letto l’articolo, mi pare che possa essere così sintetizzato:
    “Non abbiamo abbastanza soldi per garantire l’esistenza del giornale, e non possiamo continuare all’infinito con il giochino delle sottoscrizioni: evidentemente c’è qualcosa che non va, primo di tutto il fatto che non abbiamo abbastanza lettori paganti. Per salvarci, volenti o nolenti ma più che altro nolenti, dobbiamo fare un’analisi economica del problema e cominciare a comportarci in modo più “aziendale”, cioé come se fossimo un’azienda in un’economia di mercato. Lo eviteremmo volentieri, ma cumpà, voi siete sempre meno, si rischia che taglino pure le sovvenzioni pubbliche e la pilla non cresce sugli alberi. O si resta duri e puri e si chiude, dandola vinta al sistema capital-imperialista, o ci si sporca le mani, salvando la nostra voce ed il nostro lavoro ma mettendo a rischio la nostra identità.”

    I lettori, mi pare, ci rimettono in ogni caso.
    Quanto al quadrotto pubblicitario, mi sembra sia il solito doppio senso in stile Manifesto, che di fianco a quell’articolo può però generare dubbi “sinistri”.

  2. Strelnik

    Sono d’accordo con la tua sintesi e anche sul fatto che i lettori ci rimettano: oltre al fatto dei vili denari (il giornale è già aumentato di 20 centesimi) c’è il fatto “culturale”, da parte dei giornalisti del “quotidiano comunista”, di riconoscere la forma azienda come l’unico e possibile  modello/soluzione a cui appoggiarsi per tentare di risolvere una crisi economica endemica.

    Forse è solo che dal collettivo del manifesto mi aspettavo una soluzione più “da terza via”, un percorso che puntasse – sia come itenerario di concetti che come organizzazione del lavoro – a qualcosa del tipo “l’economia dell’informazione in rete” ( mi viene in mente “La ricchezza delle reti” – via mastroblog ).
    Forse è che non so nemmeno io cosa farei al posto loro.

    (sì, il quadrotto è pieno manifesto-style, anche se avrei preferito la vignetta di Vauro)

  3. Calzolai

    Io ogni tanto lo leggo pure il manifesto… in questi giorni m’era passato sotto il naso un editoriale della Rossanda…. A me, tra le righe, mi sembrava parecchio incazzata con quelli della redazione…
    Il fatto è un altro… E ve lo dico con estrema onestà: c’è un processo del tutto nuovo nel sistema partitico italiano… la sinistra che si vuol unire; questo processo non è raccontato da nessuno… ed è una vergogna… così la Rai e così le altre emittenti… e così i giornali… che non ne parlano. Il manifesto… non ne parla… non lo segue… non lo promuove… e ce ne sarebbe tanto bisogno…
    …è il compito naturale del manifesto…
    Siamo addentro d’uno scricchiolio della sinistra nei partiti… come mai prima d’ora scricchiolante…
    E c’è nervosismo nell’aria…
    …e nel manifesto

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