Problemi DELI

jonathan zenti | Problemi DELI

Tra i tanti podcast che ascolto quasi tutti i giorni voglio segnalare “Problemi DELI” di Jonathan Zenti, autore indipendente, audio narratore e podcaster.

Problemi DELI è un podcast quotidiano, di quelli – per me – difficilissimi da fare perché devi trovare tutti i giorni un argomento e parlarne senza tirare troppe cazzate per un decina-ventina di minuti.
Zenzi è bravo a raccontare sia quando prepara la storia scrivendo tutto, sia quando va a braccio, come nel caso di questo suo podcast che è uno spin-off di un altro che si chiama “Problemi” e basta. Quando sbaglia qualcosa e le persone glielo fanno sapere, all’inizio della puntata fa una sorta di errata corrige per eventuali correzioni, senza fare il vittimista e nello stesso tempo rompendosi un po’ le palle quando gli indicano un congiuntivo errato – i grammar nazi stanno pure nei podcast.

La puntata che ho ascoltato per prima è “I Renziani”, una specie umana e una pulsione che – secondo Zenzi – alberga in parte in ognuno di noi e che molti si sofrzano di combattere per non cedere alla forza meschina che porta a volere più cose di quelle che si potrebbero ottenere e – nel momento in cui non ci si riesce – si dà la colpa agli altri , attaccandoli e togliendoseli di torno impietosamente.
Ma esiste – Zenzi ne parla per un altro motivo – anche una tendenza inversa che è quella dettata dalle parole e dalle azioni di Bartolomeo Vanzetti, quando nel suo ultimo discorso diceva – e molti lo ricorderanno con la voce di Gian Maria Volonté: “ho combattuto per eliminare il delitto, primo fra tutti lo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo.”.

Buoni ascolti, abbonatevi che è gratis.

Perché sì, dai

Non so perché abbia smesso di scrivere, così come non ho mai saputo perché avessi cominciato.
Era un modo per iniziare a scrivere a mezza età, come recita il sottotitolo del mio blog.
Non era importante avere lettori, l’esigenza era personale e intima. Scrivere. Anche se nessuno leggeva. Anzi, forse anche meglio non saperlo, se qualcuno leggeva. Oppure illudersi che qualcuno avesse letto, non necessariamente apprezzato, ma almeno letto.

Gippo, “Perché no?” | via Chettelodicoaffare blog

Attraverso una e-mail e un post del Sir Squonk – più precisamente “Parlare da soli” – leggo le parole sopra citate.
E non possono che farmi piacere perché la riapertura di un blog dopo cinque anni di silenzio grazie alla lettura di un altro blog è uno dei meccanisimi più virtuosi che il web può generare.
Poi perché mi interessa molto seguire un blog nato più di quindici anni fa per un’esigenza personale, al di là di avere lettori o followers – oggi indice supremo dell’efficacia degli strumenti online. Fosse solo per ritrovarsi a leggere un se stesso del 2003 – quell’io che non sono più, quell’io che ero tra il 2003 e il 2015.

E infine perché, anche se indirettamente, uno degli obbiettivi del podcast è anche questo: rivalutare e riutilizzare lo strumento blog per creare reti di relazioni e condivisioni meno effimere e gamificate – gheimificate – di altre piattaforme.

Sicché, gentile Gippo di Chettelodicoaffare, perché sì, dai.

Per Aaron Swartz

Aaron Swartz (1986-2013)

Un post-ponte tra l’ultima e la prossima puntata del podcast, perché il silenzio non cali.

“Per tutta la sua breve vita Swartz si era speso, correndo gravi rischi in prima persona, proprio per la difesa delle libertà e dell’accesso in rete. Prevedendo la progressiva recinzione del web in nuovi orticelli privati, aveva promosso standard comuni per favorire lo sviluppo di internet in spazi aperti e interoperabili. Aveva introdotto il protocollo RSS, la Really Simple Syndication che permetteva agli elementi base di qualsiasi sito di parlare con tutti gli altri, aprendo la strada agli aggregatori e ai podcast. Insieme ad altri visionari come Lawrence Lessig aveva creato le licenze Creative Commons, che offrono oggi una alternativa più adeguata ai nostri tempi rispetto agli intoccabili principi del Copyright per tutelare il diritto d’autore.
Swartz, purtroppo, è morto due volte. Una volta fisicamente, anche come conseguenza ultima delle gravi controversie legali che lo hanno coinvolto. Una seconda volta, quando è calato il silenzio sull’importante eredità che ci ha lasciato.
[…] Quello per cui Swartz lottava, peraltro, non erano solo i nostri diritti, ma anche la preservazione della natura originaria di Internet, nata per opporre un maggiore pluralismo e in generale una diversificazione degli stili e dei linguaggi (diversity) all’omologazione dominante garantita dall’appiattimento delle catene editoriali precedenti”
– Antonio Pavolini, “Unframing | Come difendersi da chi può stabilire cosa è rilevante per noi”, (2020)

Qui tutti i suoi scritti, per continuare a imparare: The Boy Who Could Change the World | The Writings of Aaron Swartz.

E lo scorniciamento! | episodio 5

C'era una volta la blogosfera | Episofio 5 - E lo scorniciamento!

Per capire che cosa è il framing, questa ulteriore connotazione dell’agenda setting e di come comprendere e reagire a questi incorniciamenti dell’informazione e dei contenuti, la quinta puntata è orgogliosa di ospitare Antonio Pavolini, analista dei media, blogger e pioniere del podcasting italiano e autore di un recentissimo libro su su come difendersi da chi può stabilire cosa è rilevante per noi.

Con Antonio abbiamo parlato di attualissimi casi di framing, della ruota del criceto e del presidio dell’attenzione – la vera risorsa scarsa, cercata e grattata come l’oro del Klondike – di ristoranti giapponesi e street-food pompeiani. Delle energie di tanti blogger e sperimentatori disperse nella waste land della social tv, di Hossein Derakhshan e di un web che assomiglia a una televisione un po’ più sofisticata.

Alla fine si è parlato anche della stagione eroica del podcasting e delle sue più recenti evoluzioni – con il rischio della fissazione per il personal branding o dell’occupare solo per moda uno spazio – in assonanza con il fatto che, così come per la prima blogosfera, anche il primo podasting non aveva come scopo fare soldi, ma al massimo, quello di creare una rete di relazioni attraverso i racconti.

La puntata dura ventisette minuti, comprese due citazioni de cinema: buon ascolto!

Credits

Distribuzione e licenza

Potete ascoltare e seguire questo podcast anche attraverso le seguenti piattaforme e modalità:
Apple Podcasts | Google Podcasts | Spotify | Spreaker | Archive.org | Feed RSS -> grazie a OpenPod

“C’era una volta la blogosfera” è un podcast ideato, registrato e montato da Strelnik, pubblicato e distribuito sotto una licenza Creative Commons – Attribution-NonCommercial-ShareAlike 4.0 International (CC BY-NC-SA 4.0)

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Una città cresciuta dentro la foresta | episodio 4

C'era una volta la blogosfera | episodio 4| Una città cresciuta dentro la foresta


Il blog del Sir Squonk – al secolo Sergio Pilu – ha tante qualità: a parte quella di non aver mollato la scrittura neanche in anni in cui la blogosfera perdeva buona parte dei suoi componenti iniziali, c’è il fatto che ha sempre usato il mezzo come qualcosa di proprio, come una invisibile propaggine della propria casa – fosse solo per il dominio da pagare – e che glielo fa curare con una dedizione e una sincerità che rimangono uno dei maggiori valori dei personal media.

In più – e questo è il succo della puntata e dell’intervista col Sir – c’è il suo e-book che si chiama “Zona di alienazione” che nei confronti del blog è debitore, sia per la struttura, sia per l’esercizio nello scrivere che l’autore ha potuto coltivare fin dai primi anni zero, attività fondamentale per ideare e portare a termine questo libro.

Nel racconto del Sir si incontrano foreste che, pur malate, si riprendono lo spazio, contaminato per un paio di millenni ancora, palazzi che possono crollare in ogni momento. E la base militare segreta di Duga e il Picchio russo. Perché “Zona di alienazione” è il diario di un viaggio a Chernobyl che il Sir ha saputo ben intrecciare con il racconto della storia della sua famiglia in Brianza nel 1976, l’anno di Seveso e della fuga di diossina, rifacendosi all’esempio nobile del longread che Jonathan Franzen scrisse nel 2016 per raccontare un suo viaggio in Antartide e al contempo il legame con un suo zio.

Nel finalissimo di puntata, un altro suono e un altro dubbio arrivano, sempre grazie al contributo del compare di podcast, Davide Carbonai.

Dura 25 minuti in tutto – ci stiamo allargando, lo so.

Credits

Distribuzione e licenza

Potete ascoltare e seguire questo podcast anche attraverso le seguenti piattaforme e modalità:
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“C’era una volta la blogosfera” è un podcast ideato, registrato e montato da Strelnik, pubblicato e distribuito sotto una licenza Creative Commons – Attribution-NonCommercial-ShareAlike 4.0 International (CC BY-NC-SA 4.0)

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PslR – il Post sotto la Radio

Il Post Sotto L’Albero, inventato dal Sir Squonk nel lontano 2003, si riprende la scena in questo finale d’anno e lo fa con due trasmissioni – diretta e replica – grazie all’opera radiofonica di Benty e di Radio Sverso e al coordinamento del non più giovane padawan il Many – sul suo blog trovate più informazioni, la scaletta, la playlist e un annuncio finale molto interessante.

Tanti post, letti dagli stessi autori e autrici, che se volete, adesso sono ascoltabili nella semi-eternità che garantisce il podcast – nel magazzino digitale degli speciali di Radio Sverso e su Apple Podcast.

A un certo punto ci sono anch’io con un pezzo tratto dal Post sotto l’albero del 2005 che si chiama “Ci vuole coraggio”, all’epoca fortemente influenzato dalle visioni de “L’uomo in più” e “Le conseguenze dell’amore”.

Buon ascolto!

Parlare da soli, vaste programme

Valga come piccola anticipazione del prossimo episodio del podcast: stamattina ho registrato una mezz’ora di conversazione col Sir Squonk su argomenti, vicende e libri che scoprirete presto.
A parte la soddisfazione personale di aver rivisto e parlato – sia pur su Skype – con una persona amica dai tempi in cui manco esistevano i permalink, il Sir ha colto l’occasione per un post puntuale e sincero di riflessione sullo strumento blog, la memoria e il parlare da soli.
Da leggere e linkare subito, aspettando di sentirne voce e intonazione – qui sotto solo un assaggio.

“I blog e le loro propaggini per tanti di noi sono stati quello, in sostanza: uno spazio e una palestra di conversazione; una palestra, sì, perché a parlare con gli altri, anche nella maniera sbilenca e asincrona di un post con i suoi commenti, ci si allena. O si dovrebbe farlo, almeno. E quel che ho pensato dopo è che le cose cambiano: che oggi gli spazi di conversazione sono infiniti, siamo immersi in un’unica infinita chiacchiera fatta di mille chat su Telegram e duemila su Whatsapp e tutti i social possibili e immaginabili, ma quel che spesso ci manca è lo spazio dove parlare con noi stessi.”

Sir Squonk, “Parlare da soli”

Keep calm and… vai a lavorà

Diciamolo in negativo (è maledattemente più facile) usando le espressioni oracolari con cui Lacan conclude il Seminario VII: Alessandro arrivato a Persepoli parla come Hitler a Parigi. Sono venuto a liberarvi da x o da y (le discrepanze di preambolo non contano). Segue il messaggio decisivo: continuate a lavorare, che il lavoro non si fermi. Intendiamoci bene, il cambiamento non deve diventare l’occasione per manifestare il benché minimo desiderio. Per i desideri, ripassate. Possono aspettare. Fine dell’oracolo.

Augusto Illuminati, Tania Rispoli, “Tumulti | Scene dal nuovo disordine planetario”, (2011)

Erano nove anni fa quando Paul Mason aveva pensato che la rivoluzione stesse per accadere ovunque. Per Mark Fisher non era affatto così: per lui, nonostante le rivolte del 2011, il realismo capitalista continuava a esistere. D’accordo con lui era anche il mio amico D. che aveva sintetizzato il tutto con un calco del conosciutissimo meme “Keep calma and..”, utilizzato per qualche anno come bio del suo account Twitter.

Keep calm and vai a lavorà: la rivoluzione troppo spesso termina così.