Lettera di una femminista tunisina, trentenne, precaria e disperata

Quella che segue è una mia traduzione, sapientemente rivista e editata da Stenelo di ealcinemavaccitu, di un post in francese di Rim Ben Fraj –  giornalista e traduttrice tunisina –  pubblicato il 28 novembre scorso su Nawaat
È una lettera al presidente della Repubblica della Tunisia dopo che il Consiglio dei ministri, da lui presieduto, ha approvato pochi giorni fa una proposta di legge sull’uguaglianza di genere nel diritto ereditario.
La ripubblico qui, alle stesse condizioni della licenza originaria, perché è un esempio di contestazione da sinistra del disegno di legge in questione, agli antipodi delle posizioni e degli scopi dei tradizionalisti e dei religiosi che continuano a sostenere che alle donne spetta la metà dell’eredità rispetto all’erede maschio. Pur a favore dell’allargamento dei diritti, questa lettera pone una fondamentale questione di priorità e di concreti interessi di classe. Perché la metà di zero rimane sempre zero quando hai poco da mettere nello stomaco.

[Edit] La lettera di Rim Ben Fraj è stata introdotta e letta durante questa puntata di Hong-Kong Bar su Radio Popolare grazie all’attenzione e alla cura di Marina Petrillo.


Spiacente, signor Presidente, ma non condivido l’entusiasmo suscitato dal disegno di legge sulla parità di genere nel diritto ereditario. Lavoro tanto, ma senza alcuno stipendio, senza protezione sociale, senza assicurazione sanitaria, e non verso contributi pensionistici.

2013 Tunisian protesters - photo by Amine Ghrabi.
“Portraits de jeunes manifestants” – Foto di Amine Ghrabi – CC BY-NC 2.0

Con questo ritmo, non so neppure se arriverò viva alla fine dell’anno. In ogni caso, se mai arrivassi all’età della pensione, sarò probabilmente costretta a vendere crêpes o a frugare nell’immondizia per non morire di fame. Poiché né io né le mie sorelle avremo figli, dopo di noi non ci sarà nessuno. Comunque, i nostri eventuali figli, quale che fosse il loro genere, non avrebbero assolutamente nulla da ereditare da noi, così come noi non abbiamo nulla da ereditare dai nostri genitori. Allora, una domanda: di cosa saranno mai eredi in parti uguali le donne tunisine? Siamo centinaia di migliaia a doverci porre questa domanda.

Noi che siamo state brave ragazze, che abbiamo studiato, accumulato esperienze professionali, inviato il nostro curriculum vitae in tutte le lingue in giro per il mondo. Noi che abbiamo visto stroncare sul nascere la maggior parte dei nostri progetti dalla vostra burocrazia. Tutto ciò ci dà buone ragioni per andarcene, per fuggire lontano da questo Paese, per non volere figli e dover lasciar loro – in parti uguali! – tutta questa miseria. Sfortunatamente, i muri sono invalicabili: niente salario, niente protezione sociale, niente visto Schengen. D’altronde, quando vediamo i brutti ceffi al potere in tutta l’area Schengen, ci passa la voglia di andare a bere una birra a Berlino o un bicchiere di vino a Barcellona.

La tanto vantata proposta di legge sulla parità tra uomo e donna nel diritto ereditario ha sollevato un baccano mondiale che impedisce di udire le grida dei disperati di una Tunisia ridotta al silenzio, lontana dal triangolo [per soli ricchi – NdT] Cartagine – La Marsa – Il Bardo. Lei non è stato capace di affrontare neppure uno dei veri problemi che affliggono la nostra società ed ecco che ora se ne viene fuori con questo disegno di legge mediatico per accaparrarsi le lodi ipocrite dei suoi capi a Bruxelles, Washington e Berlino: « Toh, ecco degli arabi buoni!” Visto dal basso, a noi arabi questo spettacolo non importa un fico secco. In hijab o in minigonna siamo tutte nella stessa merda.

“Portraits de jeunes manifestants” – Foto di Amine Ghrabi – CC BY-NC 2.0

Siamo stufe: stufe dei call center che ci pagano una miseria per farci molestare sei giorni su sette, stufe delle fabbriche dove il capo tedesco ci offre generosamente un litro di olio di mais in occasione dell’Eid [la festività religiosa che segna la fine del Ramadan – NdT] come premio per le nostre competenze e l’agilità delle nostre piccole dita, pagate dieci volte meno che nel suo paese. Stufe di associazioni farlocche lautamente finanziate per consentire ai loro direttori esecutivi di offrire giri di birra e comprare borsette Michael Kors alle loro ragazze. Stufe di vedere su Facebook le foto di queste furbette che si fanno finanziare una vacanza studio a Disneyworld da una fondazione di Washington (e la chiamano “youth leadership” e “women empowerment”).

Signor Presidente, ci dividono 57 anni luce. Mi sa che lei e io non abitiamo sullo stesso pianeta. Il suo crede di star bene, il nostro sa di star male. Le sole cose che erediterà il mio pianeta saranno il suo debito, quello dei suoi predecessori e il suo fallimento. Per concludere, qualche suggerimento: vuole davvero far piacere alle donne di questo paese? Allora cominci col dar loro i mezzi per comprare vero caffè, vero formaggio, vera cioccolata, così che possano riempirsi lo stomaco con quel cibo che la maggior parte di esse non può più permettersi. Per il resto si vedrà.

Federazione di infiniti universi et mundi

E sicché, quasi due anni fa, stavo aspettando un social open source e decentralizzato come Mastodon e non sapevo che negli stessi giorni in cui scrivevo questa e-mail a Mauro Sandrini questo vago desiderio, grazie all’opera di altri, aveva appena trovato un suo modo di divenire realtà: ai primi di Ottobre del 2016 compariva la prima release di Mastodon, social network senza pubblicità, nato come libera federazione di piattaforme differenti e autonome – un po’ come ci si poteva immaginare Internet una ventina d’anni fa.

Da pochissimi giorni mi sono iscritto a un’istanza di Mastodon, una delle sue tante comunità: non so come andrà a finire, so che poter minimamente contribuire alla riuscita di uno spazio di discussione aperto e intelligente rimane il mio programma minimo. Per quello massimo, si sa, bisognerà stare anche in mezzo alla strada.

Con il permesso di Mauro, questa è l’e-mail a lui inviata il 25 Ottobre 2016.


Caro Mauro,

ce la faccio a mettere giù due righe riguardo agli scambi veloci e aforistici – sui social va così – sulla vicenda we are twitter di cui hai scritto anche tu sul Fatto.

I motivi che mi fanno dubitare fortemente dell’iniziativa sono complessi, provo a esemplificarli scrivendoti, nella speranza, magari, di trovare un po’ di tempo per rifletterci meglio e scriverci un post sul mio blog.

Il motivo principale dei miei dubbi è che #wearetwitter mi pare appartenere e non uscire dai canoni e dalle contraddizioni del platform capitalism e della sharing economy; Twitter è una piattaforma che si basa sui contenuti pur non producendone alcuno, così come fa Facebook. E così come, per altri servizi, fanno Airbnb e Uber con le case e con i taxi. Gestiscono l’infrastruttura, selezionando e ristrutturando, secondo algoritmi loro, contenuti altrui: sono colossi tendenti fisiologicamente al monopolio, con enormi poteri di censura – i casi, anche italiani, di shadowban usciti fuori ultimamente su Twitter non ne sono che la parte minima.

Ora: vale la pena investire risorse, energie e tempo su un modello di questo tipo? “Scalare twitter” – ammesso sia realizzabile – attraverso un azionariato globalmente diffuso, permetterebbe un progressivo sganciamento da questo modello di comunicazione e o di business? Il modello della “fabbrica recuperata”, che per il lavoro manuale ha dimostrato funzionare spesse volte, può valere anche per una società quotata in borsa e così liquida nella sua costituzione? Personalmente la vedo dura, ma può darsi anche – anzi, è sicuro – che non sia così addentro ai meccanismi del crowd sourcing capitalism e delle sue tattiche.

Rispetto a questo modello c’è che il Web in generale io lo penso e lo vorrei profondamente diverso; se mi passi lo sproposito geopolitico, idealmente lo penserei come il Rojava: una libera federazione di comunità autonome, capaci di raccordarsi, allontanarsi e riaggregarsi, senza bisogno di un centro forte a tenerne le fila e delimitarne i contorni. Per questo credo che il modello che più si avvicini a questo sia quello del platform cooperativism – che so che tu conosci e segui.

Insomma, a dirla più sinteticamente possibile: #wearetwitter mi sembra un’iniziativa pericolosamente tutta nel campo della sharing economy (e del platform capitalism) e non del cooperativismo tra piattaforme, autonome e libere.

Spero di non aver detto troppe cazzate, ti lascio solo tre link da vecchi bookmark sulla questione sharing economy vs platform cooperativism, ma magari li conosci già.

In caso di necessità, la guerra

Bene ricordarsela in questi tempi infami: la lettera inviata da Karl Marx a Sigfried Meyer e August Vogt.
Da Londra, 9 aprile 1870, incollata pari pari, senza bisogno di ulteriori commenti.

[…]

E ora la cosa piú importante!

In tutti i centri industriali e commerciali dell’Inghilterra vi è adesso una classe operaia divisa in due campi ostili, proletari inglesi e proletari irlandesi. L’operaio comune inglese odia l’operaio irlandese come un concorrente che comprime il suo tenore di vita.
Egli si sente di fronte a quest’ultimo come parte della nazione dominante e proprio per questo si trasforma in strumento degli aristocratici e dei capitalisti del suo paese contro l’Irlanda, consolidando in tal modo il loro dominio su lui stesso. L’operaio inglese nutre pregiudizi religiosi, sociali e nazionali verso quello irlandese.
Egli si comporta all’incirca come i poveri bianchi  verso i neri, negli Stati un tempo schiavisti dell’unione americana.
L’irlandese lo ripaga della stessa moneta e con gli interessi. Egli vede nell’operaio inglese il corresponsabile e lo strumento idiota del dominio inglese sull’Irlanda.

Questo antagonismo viene alimentato artificialmente e accresciuto dalla stampa, dal pulpito, dai giornali umoristici, insomma con tutti i mezzi a disposizione delle classi dominanti.
Questo antagonismo è il segreto dell’impotenza della classe operaia inglese, a dispetto della sua organizzazione.
È il segreto della conservazione del potere da parte della classe capitalistica. E quest’ultima lo sa benissimo.

Il malanno non finisce qui. Esso si riproduce al di là dell’oceano. L’antagonismo tra inglesi e irlandesi è il fondamento nascosto del conflitto tra Stati Uniti e Inghilterra. Esso rende impossibile ogni seria e sincera collaborazione tra le classi operaie dei due paesi. Esso permette ai governi dei due paesi, ogni volta che lo ritengano opportuno, di togliere mordente al conflitto sociale sia aizzandoli l’uno contro l’altro [mutual bullying nell’originale], sia in caso di necessità, mediante la guerra tra i due paesi.

Che bordi? Un gruppo ai tempi di WhatsApp

Questo, come si diceva una volta, è un post di servizio. Perché serve a far conoscere a sette amici – di quelli che ci si conosce da prima del web e però si abita a qualche centinaio di chilometri di distanza – le regole di un gruppo Whatsapp creato un giorno fa e sul quale si trovano a agire otto persone che usano i social e la comunicazione instantanea con frequenza e attaccamento molto diversi. Per ovviare a queste differenze di approccio, sia alla tecnologia sia al modo di usarla, ho pensato di provare a darci qualche regola comune, ingabbiando la sincronicità di WhatsApp con i tempi più programmati e lenti – più 1.0 – di una mailing list.
È un esperimento, non ha pretese di fare da modello a nulla, serve solo se ci fa stare meglio e non ci assilla e compulsa la vita.


Cari bordoni, ossia persone del gruppo Whatsapp detto “Che bordi?”,

se vogliamo e crediamo che questo gruppo rimanga in vita e sia più utile che dannoso per le nostre sfrigolanti esistenze, proviamo a darci poche regole di base da sperimentare da subito e senza troppo sbattimento.

Quelle che propongo io sono queste:

1) il gruppo non è sempre attivo: ci sono dei giorni di silenzio in cui non si può può postare nulla.
I giorni in cui si può postare sul gruppo sono: lunedì, mercoledì e venerdì. Mercoledì tutto il giorno, lunedì e venerdì solo dopo il tiggì (dopo le ore 21 fino alla mattina)

2) si può derogare alla regola precedente e postare nei giorni di silenzio solo in casi assolutamente eccezionali, tipo che vi sta bruciando la casa o che siete circondati da una decina di cani randagi affamati o che vi hanno rubato la macchina mentre eravate a pisciare all’autogrill.

3) ci sono alcuni argomenti consigliati che sono: musica, cinema, libri e vita privata, nel rispetto delle singole privacy e senza spettegolà.
La tolleranza nei confronti di discorsi tangenti o involontariamente fuori argomento sarà all’inizio media. Dopo un paio di volte, la persona che continui a parlare volontariamente di tutt’altro, potrà ricevere da qualsiasi altra persona il messaggio “HRIC”, alias: “Hai Rotto Il Cazzo”.
Se la persona continua a parlare di argomenti diversi, non ci sono né punizioni corporali, né multe, né espulsioni. Solo la consapevolezza, sua e degli altri, che Hai Rotto Il Cazzo tante volte. E non è una bella cosa da sapere o far sapere.

4) sono ammessi post di link a articoli e pagine web, sempre spiegando brevemente di che cosa si tratta. Non si possono postare video o messaggi vocali a meno che non vi troviate in una delle situazioni ipotizzate nella regola 2.
Per le foto e le immagini si consiglia di non eccedere e di postarle sempre a corredo di uno degli argomenti consigliati.

5) il numero dei partecipanti al gruppo non potrà mai essere superiore a 8 e non sarà mai pubblico. Si può uscire e chiedere di rientrare nel gruppo in qualsiasi momento.

Se vi sta bene e o se avete delle modifiche o delle richieste da fare, fatelo entro le prossime 12 ore. Passato questo tempo, se il gruppo sarà ancora in vita, scattano le regole e possiamo risentirci solo lunedì, sempre dopo il tiggì.
Sennò sarà stato il gruppo Whatsapp più breve della storia. Un numero zero, e poi il nulla. Punk anche da vecchi.

Blogger della vecchia guardia

Blogger della vecchia guardia (2002-03) cosa volete?
Di che cosa vi fate?
Dov’è la vostra pena?
Quale è il vostro problema?
Perché vi batte il cuore?

Strelnik
1 – tutto
2 – poco di tutto
3 – in incubazione
4 – le tradizioni
3 – per ridere

Zu
1) armonia e intensità.
2) di tango.
3) nei limiti della capienza del vivere e nelle distanze spaziotemporali degli affetti.
4) sanare il conflitto tra pulsioni ludico-epicuree e necessità economiche.
5) perché ho il sangue caldo e sorridente.

benty
1) La pace nel mondo.
2) Rocknroll as usual.
3-4) Avercene uno solo.
5) Non era per chi?

SAPO!!
2003-2004? troppo giovani, uff.

Enver
1) sapessi
2) ho praticamente smesso dopo vent’anni
3) in un posto bellissimo
4) vedi punto 1
5) perché sono dispnoico

Daniela Losini
– Sicuro mi ritiro prima della pensione stabilita da altri
– sono iperattiva sono già drogata
– nella noia
– ho ancora un blog di cinema, collettivo
– perché anche se ci ha provato ad arrestarsi ha la cazzimma.

Leonardo
Sono sempre nello stesso posto e faccio sempre la stessa cosa, e anche se può sembrare incredibile, sono pure diventato più bravo.

Giulia Blasi
Essere la più brava di tutti;
vino rosso e le storie che ho in testa;
non essere la più brava di tutti;
essere sempre senza soldi;
perché se no muoio.

Ferruccio Ciferni
1) realizzare un futuro migliore
2) mi faccio di Tweed Ride
3) non riuscire a tirar dentro chi vorrei
4) non avere più la concentrazione di una volta
5) per il futuro di mio figlio

Antonio Pavolini
1) pluriball
2) che perdiamo tempo a dire la nostra sull’agenda di fb invece di lanciare nostre agende
3) che io sono uno di quelli che perde tempo
4) Alex Ovechkin
5) perché qualcuno pubblica una risposta 5?

– Cri

1) una endless summer anche a casa in UK ma che non sia colpa del global warming
2) martini fatti in casa
3) ogni tanto a essere lontani dall’Italia perchè proprio non si può tornare
4) la Brexit
5) it’s Friday, I’m in love

La Rejna
(quelli del 2006 valgono?)

Mazzetta
Come Leonardo, a parte diventare più bravo. Il cuore batte ancora grazie a un’angioplastica, altrimenti miao.

biccio
Troppe domande #vecchiaguardia #anzYani

Dania
– Tornare in una taglia 38.
– Caffè.
– Sono troppo pigra.
– Sono troppo pigra.
– Per fortuna.

Auro
un terrazzo vista mare (da fine 2001 non è cambiato nulla).
di storie altrui e opinioni mie.
un balconcino vista case altrui che non hanno niente da raccontare.
#postsecret.
comunque fra i tre meglio il valium (dicono).

Stenelo

 

Georgia Spaccapietra
Io ci sono ancora

Monia
ti piace vincere facile eh? Questo post è l’equivalente di una gif di un gattino

Andrea Toso
Blog…

Gaetano Vergara
1) Continuo a non saperlo.
2) Adrenalina, affetti e arrabbiature.
3) Qua sopra.
4) Perché cambia tutto ma non cambia mai niente.
5) Perché sono vivo (e confesso che ho vissuto).

Enzo
ma questo post fa tutto ancora parte del revival Clap Your Hands Say Yeah e del ritorno del mood Losing My Edge post reunion degli LCD? no perché ieri sera Ounsworth e soci qui hanno fatto un concerto pazzesco, tirato e intenso e per niente misantropo, tra l’altro con sold out al Covo, e mica tutte di vecchiazze come il vostro qui presente, pure un sacco di regazzini e soprattutto regazzine, e abbiamo ballato e pogato e alla fine ero fradicio impresentabile e la gente faceva finta di non conoscermi, ma ero felice come tipo dopo dieci chilometri di corsa in montagna o dopo una vittoria di 30 della Virtus, e soprattutto sentivo che tutto quello che avevamo sempre detto e fatto anche quando ci prendevano per culo era stato vero e giusto e sopratutto, oggi come allora, bellissimo.

Marianna Natale
– Il numero che vedevo sulla bilancia nel 2003
– Netflix
– diffusa
– quelli che dal loro profilo Facebook/Twitter/Instagram ci dicono che eravamo esibizionisti
– per una molto giovane.

Gabriele Marramà
Ecco, mó mi hai fatto venire la nostalgia, anche per la presenza di vecchi compari. A te all’epoca ti guardavo a distanza e ti immaginavo diverso (più snob), ma mi sa che te l’ho già detto live. La risposta alle tue domande è dentro di me, ma è sbagliata.

Rillo
1. Cogliere l’essenza
2. Di domande
3. Nascosta sotto la felicità
4. Credere che e invece non era.
5. Perché prima o poi qualcuno possa acchiapparlo e farlo suo, se escludiamo la necessità di ossigenare organi e fibre muscolari.

Francesco Herzog Forbino
In un primo momento volevo rispondere, ma poi ho desistito. Ai bei tempi, quando possedevo un blog (il blog ce l’ho ancora, ma dentro un sito personale con differenti e diversi contenuti), sarei partito in quarta e ti avrei dato le mie risposte. Ora è solo noia.
Forse, ci siamo presi troppo sul serio, ma d’altronde quello dovevamo essere – serii- per credere che il blog potesse risolvere almeno i nostri problemi, che non erano di libertà espressiva, ma di ultima spiaggia per la ricostruzione di un’utopia vivibile.

Confuso
1) essere plurimiliardario e vivere nel lusso più sfrenato in una gigantesca villa in Polinesia
2) campari soda (ma anche altre cose che però sono illegali, quindi non posso scriverle)
3) eh?
4) ne ho parecchi mica uno solo
5) boh, fa tutto da solo, per ora.

Nicoletta Mazzuca
Quanto vorrei che Gilgamesh potesse rispondere… ❤
Sono sicura che dovunque sia vi sta sorridendo.
Un abbraccio a tutti voi.

Mafe De Baggis
Cambiare il mondo;
vino rosso;
non farmi capire;
non farmi capire;
perché corro.

Marco Mazzei
1. Diventare un influencer
2. Bicicletta
3. Per strada
4. La maratona
5. Per correre più veloce

Giugno imprendibile

Un piccolo, grande viaggio che abbiamo fatto insieme, io e Beppe.

Estate del millenovecentottantasei: c’era il torneo paesano di calcio, allora si giocava ancora al glorioso quanto zolloso “C. Paganelli”, tra gli alberi e le piccole cascate di Granchiaia. Era un sabato e la nostra era la seconda partita, quella che finiva alle sette e mezzo di pomeriggio. Quell’anno giocavamo nella stessa squadra, Porta Pisana, se non ricordo male. Dopo la doccia c’era da ritornare in paese, a un paio di chilometri dal campo. Salimmo tutti e due sulla tua Vespa bianca, la mia borsa nel portapacchi di dietro, la tua sulla pedana, adagiata alla scocca. Facemmo i primi tornanti della Camera piano piano, chiacchierando di mare e vacanze, di campeggi a Vada e di dove saremmo potuti andare una volta maggiorenni. Erano isole del Mediterraneo ancora indistinte: Ibiza o Ios che fossero, erano vie di fuga in corsa, sprovincializzazione a colpi di alcol e fantasia. A metà salita ci chetammo e facemmo le ultime curve piegandoci per benino, per non perdere velocità e arrivare in cima alla collina con un po’ di sprint addosso. Davanti casa mia ci salutammo con un’occhiata, ci si vede in giro non importava nemmeno dirlo. Ognuno secondo i suoi desideri, a ognuno secondo i suoi tempi.

Quell’estate lì, Beppe, è stata una delle più belle della mia vita anche per quel passaggio che mi desti, senza casco, coi capelli ancora bagnati – i miei corti e punkeggianti come un tedesco dell’Est, i tuoi lunghissimi, ricci, indomabili, hippy post-moderno senza bisogno di India e arancione. C’era Giugno che ci rendeva imprendibili: preti, scuola, orari fissi, tutto si arrendeva davanti alla fame delle nostre giovinezze sguaiate e saltellanti, saldate nella libertà delle vacanze.

Non so in quale dimensione tu possa essere adesso, so che la prima immagine che mi viene in mente quando penso a te è quella in cui siamo ancora lì che ridiamo mentre le ombre dei castagni ammorbidiscono l’asfalto, piegati sulle curve, complici e fragili come si è sulla soglia dei vent’anni. Con tutta la vita davanti: lunga o corta, maledetta o pacifica che sia. La nostra, la tua, la mia.

Prima o poi arriva

Potrebbe essere uscito dal Grande Bretagne di Atene, l’hotel di lusso adiacente a piazza Syntagma e al Parlamento: camicia bianca, abito scuro, la sigaretta in mano, l’altra mano sul fianco, si appoggia leggermente a una bacheca di vetro e ferro e si guarda intorno. I lineamenti della faccia, anche a vederla da così lontano, sono seri e spazientiti. Volano molotov, pietre e vasi di fiori, uno atterra pochi metri dietro a lui. Ma a lui sembra importargliene davvero poco, l’appuntamento potrebbe essere di quelli importanti, non può certo distrarsi con quel gli accade intorno.

È il 6 Dicembre 2010: sono passati due anni dalla notte in cui a Exarchia un poliziotto uccise – sparandogli al petto – Alexis Grigoropoulos, quindici anni. Due anni che la gioventù di Atene e di tante altre città della Grecia non hanno dimenticato: dal Dicembre del 2008 sanno di essere lì e ovunque, sanno di essere un’immagine di un futuro che conterrà austerità e repressione. E ogni 6 Dicembre in strada ce lo ricordano.

Poi l’uomo con la camicia bianca e l’abito scuro alza il braccio, controlla l’orologio, mima un gesto di impazienza del tipo: “Ma quando arriva?”

Arriva, prima o poi arriva, tranquillo.

Lotta e frivolezza

La società divisa in classi, la differenza tra i poveri e i ricchi, la lotta e l’affezionarsi al nemico.
Da “Lo scopone scientifico”, 1972:

“Lo stesso Omero, ragazzi, che voi studiate in questa vostra scuola di merda, diceva che mentre gli uomini lottano, combattono, vivono le loro tragedie, gli dèi nell’Olimpo si comportano come esseri frivoli, crudeli, capricciosi.”