Pantere e ghepardi
– soppesa lo sforzo / tentando l’impresa
– Laghetto, “l’odore dei pomeriggi (quando li butti via)”, 2003
ne valuti i costi / poi scegli la resa –
Fuori da un bar, di quelli abbastanza scrausi, un gruppo di ragazzetti e ragazzette mi coglionava. Erano seduti al tavolino accanto al mio, a meno di tre metri. Ero sicuro che mi guardassero, ammiccassero e ridacchiassero di me. Stavano per intere manciate di secondi tutti zitti, maschi e femmine, e poi ricominciavano a parlare, alcuni bisbigliando, altri indicando qualcosa oltre le loro spalle, verso me. Avevo più di settanta anni, ero mezzo sordo da un orecchio e stanco della giornata già alle tre del pomeriggio. Fosse stato per me, il sole avrebbe potuto andarsene giù tra mezz’ora. Il tempo di pagare il mio vino, andarmene a casa, togliermi le scarpe, stordirmi di qualcosa e andare in culo al mondo per un’altra nottata.
A un certo punto mi era sembrato che armeggiassero con qualcosa, forse un tablet che avevano sul tavolo. Cosa cazzo registravano? Una vena s’era mezza chiusa e avevo smattato: mi ero alzato, ero andato verso di loro e gli avevo urlato da molto vicino: “Io ho fatto la Pantera!”
Lo avevo gridato cercando di ricalcare lo stesso tono, lo stesso risentimento, la stessa rabbia del Bufalo quando alla fine della seconda stagione di Romanzo criminale urla tra i palazzi della Magliana: “Io stavo col Libanese!”
Quelli si erano zittiti, io avevo subito girato i tacchi e ero entrato nel bar per pagare. Dio boia, come mi sono rincoglionito, mi ero detto una volta appoggiato al bancone mentre il barista mi dava il resto. Che figura di merda che ho fatto con quei giovani. Penseranno che sembro uno sballato, anzi che sono uno sballato, come si diceva di Pippo. La Pantera è di cinquant’anni fa quando non erano nati nemmeno i loro genitori. Cosa vuoi che ne sappiano? Devo chiedere scusa, devo spiegargli che è stato un momento di rabbia e che mi dispiace di avere urlato.
Quando ero uscito, uno di loro mi era venuto incontro presentandosi come il registaslashproduttore di un talk show interattivo e dicendo che lui e i suoi host erano in diretta su Internet e che il mio instant rant era stato molto apprezzato. Forse lo sponsor del loro canale sarebbe stato disponibile – aveva continuato il registaslashproduttore – a condividere una parte delle revenues. A patto che le mie apparizioni continuassero a generare picchi di attenzione come era appena successo.
Il giovane avrà avuto sedici, diciassette anni. Parlava e si entusiasmava, suggeriva possibili evoluzioni del rant, ipotizzava interazioni del terzo tipo. Tutto per lo sbrocco di un ultrasettantenne vicino alla pensione e a un meritato periodo di semi-demenza.
Alla fine m’era presa una tristezza così densa che avrei voluto sparire per autocombustione o liquefarmi all’istante come nel favoloso mondo di Amelie. Ero vecchio, avevo cercato di resistere allo spirito mercantilistico dei tempi per interi decenni ulcerandomi lo stomaco e salvando quel poco di inferno che inferno non era. In molte parti ero sbriciolato, coi ponteggi pericolanti e le ferite dello scontro quotidiano. Presto avrei fatto parte di quella schiera di atleti dal sorriso stanco che più di tutto temono il sale della vita.
Gli avrei risposto volentieri: “Te stai male bimbo, dammi retta. E il casino è che la colpa è anche mia.”
Invece gli avevo detto: “Non so’ più er ghepardo de ‘na volta” e l’avevo lasciato ai suoi calcoli pubblicitari.