PslA 2010

[Prima di leggere potreste anche ascoltarvi questa – ché il post altro non è che come ho immaginato potesse continuare la storia raccontata dalla canzone degli Zen Circus]

“Sono a secco, ‘sto Natale. Dio,  fa che non stia così male.”
(Zen Circus, “Canzone di Natale”)

Eccomi qua, fuori dalla luce delle luminarie e dalle musichine del centro.
Sono quasi le cinque e dietro la stazione sembra di stare nella tasca di un vecchio: buio, puzzo di piscio stantìo, foglietti stropicciati e neanche dieci centesimi, neanche una caramellina di menta. Nelle mie di tasche invece ci sono venti euro e basta. Abdul al telefono m’ha già detto che non bastano. Sarà per questo che il sudore ghiaccio che m’inzuppa la schiena mi sembra aumenti a ogni passo. Da casa mia a qui me la son fatta tutta a piedi, scansando il corso e le strade più affollate. A avercelo ancora il motorino che m’avevano regalato i miei questa estate mi sarei risparmiato le facce della gente che esce dai cinema e dai locali. Tutto un gonfiore di spumante e di crostini, coi vestiti nuovi e le scarpe lucide che si vede l’hanno messe oggi la prima volta per far piacere a chi gliele ha regalate e sentirsi addosso un po’ d’aria di festa. L’unica cosa nuova che c’ho io sono questo paio di guanti che nonna non manca di farmi avere ogni venticinque di dicembre. Crisi o non crisi, la pensione e l’arteriosclerosi son sempre quelle e che gli vuoi dire a nonna? La ringrazi e cerchi il modo di utilizzarli al meglio.
Venti euro e un paio di guanti nuovi: forse a Abdul gli va bene lo stesso, mi son detto. Ma che cazzo vuoi, m’ha risposto un paio d’ore fa al telefono. Ci vogliono i soldi, tutti: trenta euro. Mentre lo aspetto m’immagino tutti i modi per convincerlo a farmi un po’ di sconto. Diobono, Abdul, è Natale. Ma lui è musulmano e giustamente gl’importa una sega.
Sono le cinque e un quarto e al solito pilone invece di Abdul arriva mio zio Aldo. Lo vedo arrivare sulla sua Punto nera, con il gagliardetto del Pisa impiccato allo specchietto e la luce dell’abitacolo accesa. Che cazzo ci fa zio Aldo qui che l’ho lasciato a casa dei miei insieme a tutti i parenti a giocare a tombola e a scopone? Zio Aldo che m’ha infarcito tutto il pranzo di Natale con le sue tirate lunghe anche dieci minuti sui pezzi difettosi che gli arrivano fra le mani e sui bulloni delle sospensioni che l’operaio a monte della catena di montaggio non ha fissato bene e che lui mette a posto da solo senza che ci sia bisogno di segnalarlo al revisionista di fine linea e far scendere la produzione. Zio Aldo che tutte le volte che ci si incontra mi piglia per il culo dicendomi che ora tutti vogliono fare gli artisti e in fabbrica non ci vuole andare più nessuno, mi fa i ganascini davanti a tutti e io gli darei una testata in faccia che così si mette alla mutua e si riposa una settimana. Lo stesso zio Aldo, vent’anni di fabbrica, una moglie e due figlioli piccini, che ora saluta Abdul spuntato fuori da chissà quale buco nero del cavalcavia. Abdul, con le sue palline di merda e una famiglia di quindici persone spersa in qualche periferia tunisina, parlotta con mio zio per pochi secondi e gli passa quel che gli deve passare. Il finestrino si tira su e la Punto nera riparte.
Porca miseria, zio Aldo si fa gli schiavardoni in vena. E chissà da quando. Si sfonda il cervello proprio come me che a venticinque anni sono già pieno di debiti e che ora mi è tocca anche inventare un motivo per farmi abbuonare i dieci euro che mi mancano.
Abdul è stato buono. Gli ho detto che quello di prima era mio zio, che lo incastro come mi pare e la prossima volta gli porto tutti i soldi che vuole perché zio è uno che c’ha il posto fisso mica come me e Tunisi che siamo due che campano alla giornata anche a Natale.

[Questo è il mio contributo al Post Sotto l’Albero che l’impareggiabile Sir Squonk aggrega e diffonde da otto anni;  il pezzo s’intitola Mani calde, tasche vuote e se volete sapere come va a finire potete scaricarlo, insieme a tutti gli altri post sottalbereschi, da qui (in .pdf)]

Bonnatàle, eh.