Riuscite a ricordare l’ultima volta che avete navigato da un sito web all’altro, senza passare da social network o motori di ricerca, ma semplicemente balzando di link in link?
Chi se lo ricorda, e chi ancora lo fa, sa bene che così ha l’opportunità di incontrare interfacce molto diverse: si può passare da quelle minimali con sfondo rigorosamente bianco a quelle barocche, zeppe di banner, gif animate e immagini, da siti formati da una sola pagina a blog striati dalle classiche colonne laterali, destre o sinistre che siano. Si transita da siti bellissimi a siti sinceramente brutti, da long-form curatissimi a laconici post di poche righe di testo. Questo navigare il Web è un po’ come il vagabondare da un quartiere all’altro di una grande città. I nostri occhi incontrano una varietà estetica che a volte può anche disorientare, come il flâneur che si immerge nel corpo della metropoli: può somigliare a una sorta di vagabondaggio in zone libere dal design della persuasione, senza l’ossessione del commento o dell’interazione a tutti i costi, ozioso e privo di fretta come “uno che porta al guinzaglio delle tartarughe lungo le vie di Parigi” – per citare Baudelaire.
E questa varietà di ipertesti è resa possibile dal fatto che ognuno di questi siti web è stato creato da una persona diversa: dal nerd intrippato col web design allo scrittore online che non desidera altro che una spazio da formattare con un carattere e un’interlinea più simili che si può alla pagina di un libro.
Avere un proprio sito personale – blog, portfolio o semplice pagina bio che sia – permette di non essere alla mercé di una piattaforma che da un momento all’altro può decidere di cambiare radicalmente la sua policy, di cedere i tuoi dati a terzi o di vendere tutto e chiudere baracca e burattini. E avere un proprio sito web non è un’azione difficile e costosissima. Anche non comprando un dominio e un hosting proprio, ci sono strumenti che ti permettono di pubblicare i tuoi contenuti senza per questo cederli a qualcuno che può farci cosa vuole in qualsiasi momento. Anche la creazione dei contenuti ormai, grazie a backend sempre più intuitivi e semplici, non presuppone più nessuna conoscenza dell’html: si scrive e si pubblica qualcosa così come si scrive un normalissimo documento di testo, con l’unica differenza che alla fine si preme il tasto “Pubblica”.
Avevo in mente da un po’ di scrivere un post di questo genere, ma l’avevo sempre rimandato sia per evitare di evocare qualsiasi nostalgia del Web 1.0: perché non c’è niente da rimpiangere – le età dell’oro non sono mai esistite, nella società come nel calcio o nel Web – e c’è solo e sempre da ragionare e agire. Quello che mi ha spinto a scriverlo è stato questo post di Gita Jackson intitolato “For The Love of God, Make Your Own Website” in cui si ricorda come i social media abbiano cancellato la necessità di creare un sito web per esprimersi online.
In una panoramica che parte dall’avvento delle prime pagine di MySpace fino all’arrivo di Musk, l’autrice sottolinea il fatto di come sia chiaro che i miliardari della tecnologia sanno che possedendo i mezzi di comunicazione, si gestisce l’intero spettacolo. Traduco e riporto qui sotto uno dei paragrafi finali del suo post perché mi sembra un’ottima sintesi di quali potrebbero essere le azioni di intraprendere per costruire un’alternativa al paesaggio oggi dominante:
“Costruire i nostri siti web, creare media indipendenti e impegnarci per social network più democratici: credo che queste siano alcune piccole ma cruciali cose che abbiamo bisogno di fare per creare alternative a quegli ecosistemi tecnologici monopolistici, posseduti da miliardari, ogni giorno più autoritari, che attualmente dominano le nostre vite” – mi ha detto Brian Merchant, autore di Blood in the Machine.
[…]
Per me, possedere un mio sito web, anche se lo gestisco come un’attività commerciale con i miei amici, mi dà un grado di libertà sul mio lavoro che non avevo mai avuto prima.
Qui si sta decisamente dalla sua parte e si scrive e si pubblica perché altri e altre si uniscano progressivamente a questa parte di Web stufa di condomini tutti uguali, di proprietà di un solo padrone. Un’uniformità ipertestuale dove è quasi impossibile distinguere la propria homepage da quella di milioni di altre e dove potrebbe capitare di entrare nel profilo di qualcun altro scambiandolo per il proprio – come succedeva a uno dei protagonisti di “Ironia del destino, ovvero Buona sauna!” che, ancora ubriaco dopo la notte di Capodanno, entrava in un palazzo a Leningrado identico – ha addirittura le stesse chiavi – al suo a Mosca.
Non è un’ode all’individualismo, ma forse il suo contrario.
(Immagine di Georges Fraipont “Paris, Flaneurs at la Madeleine” | via Artvee)