Fuga dai nazi, dai bulli e dalla tempesta | Veni, vidi, scripsi 02

Fuga dai nazi, dai bulli e dalla tempesta

Secondo post di Veni, vidi, scripsi: altri tre video che mi è sembrato interessante segnalare tra quelli visti in questi ultimi tempi, sempre in tema di letteratura, cinema e musica.
I link ai video sono quelli con lo sfondo nero.

Stavolta si parte dal cinema. E più precisamente da “Cerdita”, il cortometraggio – vincitore del premio Goya 2019 come miglior corto di fiction – che, abilmente espanso, ha poi generato il primo lungometraggio della regista spagnola Carlota Pereda, distribuito a livello internazionale con il titolo di “Piggy”.
Nei suoi quattordici minuti di durata non si può che fare il tifo per Sara – una formidabile Laura Galán capace di interpretare la final girl senza mai proferire una parola – pesantemente bullizzata da ragazzi e ragazze suoi coetanei per via del suo corpo in sovrappeso. Nell’assolata campagna dell’Estremadura dove Sara corre per sfuggire agli sguardi e ai dileggi accade però di incontrare anche un salvatore inatteso quanto spietato che indirizza l’opera nella direzione horror/gore che si compirà al meglio nel film d’esordio di quattro anni dopo. Anche se un indizio orrorifico ci viene regalato fin dal primo minuto del corto quando Sara ascolta in cuffia “The night of the living dead” della band “Agoraphobia”, garage rock da Santiago di Compostela.
Un brevissimo estratto delle grezze parole rivolte dalle ragazze a Sara:

Dove vai, porcellina?
Il tuo tipo scappa.
Per una volta che avevi rimorchiato!
State bene insieme.
Oink, oink, chiamalo!

Il video sulla letteratura riguarda un mostro sacro – almeno per me – del Novecento: Walter Benjamin. Della vita e delle opere del filosofo, traduttore e critico letterario, oltre che scrittore, il canale YouTube “Fiction Beast” ne pubblica un ritratto partendo dal 1940 e dalla sua fuga: prima dalla Germania nazista e poi dalla Francia occupata, attraversando i Pirenei e la Spagna già sotto le grinfie del regime franchista, nel tentativo di raggiungere gli Stati Uniti. La fine è purtroppo nota: fermato alla frontiera dalla polizia, si toglierà la vita con un’overdose di morfina. Gli altri suoi compagni di viaggio, ebrei come Benjamin – indesiderati d’Europa come gli internazionalisti che dalla Spagna alcuni anni prima scappavano dopo la fine della guerra civile – riusciranno a ottenere il permesso di partire il giorno dopo.
Il titolo del video può apparire cattivo e sminuente – This genius failed in everything – ma la capacità di sintesi e le informazioni di fondo sono più che soddisfacenti per un video che in ventidue minuti riesce a fornire una ritratto sincero del pensiero di Benjamin, senza semplificazioni o sbavature. Il tono è interessante perché alterna, con il giusto equilibrio, citazioni delle opere e intermezzi ironici. Come il modo in cui viene descritta la seconda volta in cui il geniale intellettuale berlinese ritorna a casa dei genitori dopo non essere riuscito a ottenere l’abilitazione all’insegnamento all’università di Francoforte – il nostro era già sposato, aveva un figlio e anche una relazione con una rivoluzionaria lettone conosciuta a Capri:

Benjamin era troppo anticonformista nei suoi pensieri. Così, per la seconda volta, fece ritorno al suo seminterrato per giocare ai videogiochi, mangiare salsicce e bere birra. Ma suo padre era abbastanza stufo di lui e gli tolse la paghetta. Sei un uomo adulto ora!

Per passare all’ultimo video dedicato musica, occorre però scomodare ancora un po’ Walter Benjamin e la sua celebre descrizione – ispirata da un acquerello di Klee – dell’angelo della storia:

L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato.
Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle.
Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta.

La tempesta – stavolta di neve – ritorna in Ariel, singolo uscito pochi giorni fa per “Night Life”, l’ultimo lavoro dei The Horrors. Bloccato per un guasto all’automobile in un paesaggio innevato – sembra di stare tra le prime inquadrature aeree di Shining e l’inquietudine alla Twin Peaks – Faris Badwan, il cantante del gruppo britannico, si trova a correre in mezzo ai boschi mentre la figura di uno spirito dell’aria – impersonata dall’artista e performer Castor Taylor-Wade – appare tra la neve che continua a cadere. Tra Shakespeare, drum machine e sintetizzatori, senza rinunciare alle originarie radici gotiche.
Questo l’incipit del testo tradotto:

In questo mondo di silenti paesaggi invernali
tutti i sogni giacciono sospesi e invisibili nell’aria
e ogni vacua croce che ci portiamo dietro per tutta la vita
si trascina sotto il sole gravando sulle nostre spalle.

Ma quando questa sensazione appare in una luce color del rame
metti il tuo spirito accanto a me
questa paura che tutti quelli che amiamo ci diranno addio
si dissolve naturalmente nella notte senza forma.

Tre fughe diverse, mentre altre fughe concretissime e attuali si aggiungono in questi giorni di incipiente primavera. Come i professori universitari di filosofia e di storia che lasciano gli Stati Uniti per il Canada, dopo aver studiato come funzionano il fascismo e la propaganda e averne constatato gli effetti direttamente sulla società.

Veni, vidi, scripsi | 01 | Luciano Funetta, Clémentine Meyer, Viagra Boys

Non scrittura, mondo movie e corpi della palude

Per la categoria “Veni, vidi, scripsi” – nuova, improbabile rubrica di questo blog – ecco tre video scelti tra quelli che più mi sono piaciuti in queste ultime settimane di visioni sul Web. Gli argomenti sono i soliti tre che mi appassionano da sempre: letteratura, cinema e musica.
I link ai video sono quelli con lo sfondo nero

Partiamo dalla letteratura.
Emanuela Cocco ha creato una rassegna che si chiama “Contemporanei”: sul suo canale “Scrivere di notte” invita autori contemporanei a raccontarci come hanno scritto il loro libro. Luciano Funetta – uno tra gli scrittori più interessanti dei nostri giorni – accetta l’invito e ne approfitta per parlarci della non scrittura in 15 minuti di appuntite riflessioni su conflitto, ostilità e silenzio. Lo fa attraverso le sue parole e citazioni da Elias Canetti, Susan Sontag, Franco Cordelli e Gérard de Nerval.
Ne trascrivo un breve estratto:

La durata è qualcosa di sovratemporale. Cioè che ha delle coordinate temporali, ma non solo. Per cui una scrittura che possiede una durata è una scrittura in grado di muoversi in più direzioni contemporaneamente. Il che la rende difficile a scriversi. E quasi impossibile da inseguire.
Questi momenti di non scrittura, questi momenti in cui la scrittura si interrompe, si prende una pausa da se stessa e quindi dalla sua stessa esistenza, dal flusso delle cose, sono solitamente dei momenti molto privati che chi scrive tende a non voler condividere e hanno a che fare con il segreto, sono una zona ostile. La non scrittura è una zona ostile della scrittura. E sono anche spaventosi sicuramente. Ma è proprio in questi momenti che la scrittura ingaggia le sue battaglie più decisive.

Passando al cinema, ci spostiamo sul canale “Cinéma et politique”, uno tra i migliori sulla settima arte di tutta YouTube: la sua talentuosa creatrice, Clémentine Meyer, ha appena pubblicato “Le MONDO : le monde à travers une lentille réactionnaire”, un’analisi dettagliata e coinvolgente del filone dei mondo movie.
Venti minuti che indagano, grazie a un originale sguardo critico e a una preziosa dote di fonti – le trovate nella descrizione del video – quella serie di documentari shock che uscirono in Italia a partire dagli anni ’60 e che, attraverso un ejzenstejnano montaggio delle attrazioni – mescolando assurdo, violenza grottesca e una massiccia dose di rappresentazione reazionaria, maschilista e razzista della realtà – influirono sull’immaginario collettivo del pubblico italiano in pieno boom economico.
Traduco e trascrivo un estratto:

Attraverso questa estetica simile al collage, quello che “Mondo cane” ci offre è una visione frammentata del mondo, ma da questi frammenti Gualtiero Iacopetti non ricava una narrazione coerente. L’unico fil rouge che riesce a trovare per connettere tra loro le mmagini è quello di un’umanità bizzarra che solo l’ironia sembra riuscire a cogliere. È per questo che nel film l’umanità tende a deformarsi sotto le sembianze del grottesco, fino ad assumere i tratti di una galleria di nuovi mostri, al limite dell’allucinatorio.
Nel secondo dopoguerra il grottesco fu uno dei linguaggi espressivi preferiti dal cinema italiano perché era quello più capace di esprimere il sentimento di rottura provocato da un’Italia e da un mondo in cambiamento, sotto l’effetto del processo di modernizzazione.

Concludendo in musica, si approda sul canale dei Viagra Boys, dove è appena uscito “The Bog Body”, terzo singolo del gruppo svedese, estratto dal disco in uscita il 25 di aprile. Sestetto da sempre avverso, a partire dal nome, a machismi e conformismi, conferma la sua folle indole in questo video diretto da Eoin Glaister dove un cadavere femminile, uscito mummificato da una palude – una mummia di palude, appunto – ricopre la parte di principale protagonista.
La ritroviamo in un pub e nella sala di registrazione del gruppo a ballare e a suonare sui riff post-punk e a baciarsi e a fare foto di scena con Sebastian Murphy, voce e fondatore dei ragazzi della pillola blu. La presa in giro delle apparenze e dell’ossessione dei corpi è totale, così come della gelosia e del fascino a tutti i costi.
Traduco l’incipit del testo della canzone:

Da non crederci.
Hanno trovato un corpo sepolto sotto il ghiaccio.
È in perfette condizioni.
I suoi capelli e le sue unghie sembrano davvero belli.
Come mai sei arrabbiato, credi che sia una minaccia per te?
Non posso farci niente se sono impressionato dal fatto che non abbia nulla a che fare con te.
Sei consumato dalla gelosia,
Sei completamente ossessionato dal
corpo della palude.

Tre video per un totale di nemmeno quaranta minuti: guardateli, quando potete, e se ci trovate delle assonanze e dei collegamenti, ne sono ancora più contento.

Il mondo dietro di te - film di Sam Esmail - Tesla impazzite

Il mondo dietro di te

I produttori del film – Barack e Michelle Obama – avrebbero potuto finanziarlo per farne una serie. Perché mi sarebbe piaciuto vedere, in una catena di stagioni e episodi, quali sarebbero state le reazioni del lumpenproletariat statunitense di fronte alla fine di un’epoca. Dal Kentucky all’Alabama, dal Montana al Nuovo Messico, sarebbe stato interessante guardare come si sopravvive e si affronta dal basso il futuro quando crollano, insieme alla connessione Internet, tutte le certezze e le comodità di una classe media sempre più ridotta ai minimi termini.
In “Il mondo dietro di te” invece assistiamo a quello che si presuppone sia un colpo di stato o una guerra civile, dopo un attacco esterno, dal punto di vista di due famiglie agiate e progressiste. Non per niente il luogo di osservazione delle vicende è Long Island che annovera tra le sue contee quelle con il più alto reddito e quelle con il più basso livello di criminalità di tutti gli Stati Uniti.
L’unico rappresentante di una classe diversa è Danny – interpretato da Kevin Bacon – che potrebbe tranquillamente indossare il cappello con scritto MAGA e che è l’unico che si è preparato a questa eventualità.
Certo, ci sono anche alcuni ricchi che hanno approntato bunker antiatomici dove sopravvivere, ma il survivalismo e la paranoia – secondo il regista Sam Esmail e lo scritttore Rumaan Alam dal cui libro il film è tratto – non sembrano aver attecchito troppo nella mentalità della middle class.
Sia che si tratti della adette alla relazioni pubbliche e misantropa Amanda sia del marito Clay*, professore universitario di media e comunicazione in ansia per i tagli all’istruzione, sia di G.H. Scott, borghesia nera che trae la propria ricchezza dagli investimenti che fa fare a chi opera nel milionario settore della difesa, a stretto contatto con la malvagia elite che comanda il mondo: sono tutti appartenenti a una classe sociale che si fa trovare impreparata al Doomsday e non sa più cosa fare quando i cellulari non ricevono più le notifiche, la guida automatica delle Tesla impazzisce e la televisione mostra solo una schermata al rumore bianco. Personalmente invece ricordavo molti miliardari della Silicon Valley che sono letteralmente ossessionati dall’apocalisse e da come salvarsi – da soli – quando arriverà.

Forse non avrei dovuto rivederlo l’ultimo giorno dell’anno, e sarebbe stato meglio – distopia per distopia – rivedere “Civil War”, almeno lì la morte e la crudeltà del giorno del giudizio sarebbero state mediate dalla metanarrazione di giornalisti e fotografi di guerra, in viaggio verso Washington per ottenere un’intervista a un presidente che desidera solo di non essere ucciso. Che ha la stesso valore morale di una adolescente che, totalmente incolpevole di fronte alla fine di un mondo, smania solo di vedere come va a finire Friends.

* la t-shirt che Clay – interpretato da Ethan Hawk – indossa in diverse scene è quella delle Bikini Kill, gruppo punk rock rappresentativo del movimento Riot grrrl a caratterizzarne ulteriormente l’orientamento progressista.

Somewhere Over the Chemtrails - film di Adam Koloman Rybanský

Somewhere Over the Chemtrails

Mi è piaciuto subito a partire dal titolo, calco ironico della famosa canzone*. E, dopo gli ottantre minuti di durata, l’esordio nel lungometraggio di Adam Koloman Rybansky, giovane regista e sceneggiatore ceco, ha confermato in pieno quello che mi aveva lasciato immaginare.

Somewhere Over the Chemtrails” è una tragicommedia ambientata in un più che pacifico, direi sonnacchioso, paesino nella campagna della Moravia**, regione sud-orientale della Repubblica Ceca. La calma e la semplicità delle sue abitudini vengono interrotte quando, durante le festività di Pasqua, un furgone sbuca nella piazza schiantandosi sulla fontana e ferendo uno degli abitanti, appartenente all’unica famiglia gitana del paese. La locale squadra di vigili del fuoco a questo punto si trasforma in una sorta di milizia, armata di bastoni e asce, che inizia a pattugliare le strade e a perquisire le case, dove gli abitanti si sono rinchiusi per ordine del sindaco, alla ricerca del conducente. Perché la paura che contagia tutti è che si sia trattato di un attentato terroristico, dopo che Bronya, il comandante dei pompieri, ha detto in un’intervista alla televisione che ha visto fuggire un uomo dalla pelle scura, “forse un arabo“.

Insieme a Bronya, l’altro protagonista del film è Standa: impigliato in un fisico barbagiannesco, fa parte come volontario dei vigili del fuoco, non è bravo nelle cose pratiche e si affida a Bronya per molte di queste, dal tagliare un ciliegio in giardino a stappare una birra senza l’apribottiglie. I due hanno un rapporto del tipo padre-figlio: se Bronya è un aiuto in tutte le faccende fisiche, Standa a sua volta è un appoggio per la profonda tristezza che coglie spesso Bronya che ha perso da poco la moglie.
Standa è un uomo buono, a volte così ingenuo da rasentare la stupidità: quando un suo collega pompiere – dal discutibile taglio di capelli – gli parla della pericolosità delle scie chimiche, Standa inizia a cercare informazioni su Internet e adotta buffe abitudini basate su un fantomatico potere dell’aceto. Ma così facendo non fa altro che aumentare la sue preoccupazioni che nel frattempo, nei suoi colleghi e negli abitanti, si trasformano in diffidenza e razzismo verso gli stranieri – anche se di stranieri non ce ne sono, a parte la tranquillissima famiglia di origine gitana. Le vicenda si concluderà con una serie di azioni e reazioni, in un gioco di sponde tra il tragico e il comico, che colorerà il destino dei protagonisti di tinte sfumate, evitando distinzioni nette tra buoni e cattivi.

Ciò avviene grazie a un’ironia sottile, mescolata a una sapiente dose di humour nero, che rende “Somewhere Over the Chemtrails” un’opera capace di indagare temi quali il pregiudizio, il populismo e la xenofobia senza aver bisogno di ridicolizzare nessuno dei personaggi. Tutti vengono ritratti nella loro simpatia come nelle loro ambiguità, anche quando fanno o credono a cose insensate o altamente improbabili, che si tratti della scie chimiche o della vendetta divina. Anche il prete e il sindaco, che in una commedia si presterebbero perfettamente a incarnare stereotipi puramente comici e macchiettistici, sono tratteggiati con l’intento di comprenderne il comportamento e le fragilità, specie in una situazione in cui le loro azioni sono fortemente influenzate dalla paura e dalla disinformazione. Perfino i due giovani neonazi, arrivati in paese per dare manforte nella ricerche del presunto terrorista islamico, vengono dipinti come due bimboni interessati più che altro a assumere pose da duri o a giocare alla lotta l’uno contro l’altro, ma pronti a mollare le spranghe e tornarsene a casa a piedi appena non c’è più nessuno da cercare.
Tutto ciò riguarda le gesta dei principali personaggi maschili. Per il principale personaggio femminile, rappresentato da Jana, la moglie incinta di Standa, è diverso.
Se il marito e i colleghi pompieri sono preda di comportamenti irrazionali, spacciati per voglia di sicurezza e di protezione, Jana mantiene una lucidità e una tempra anche nei giorni in cui tutte le famiglie del paese sono costrette in casa. La scena in cui si accorge delle ricerche sul Web di Standa sulle scie chimiche è esemplare: “Non mi dire che credi a queste stronzate”. O quella in cui rimprovera Bronya per aver detto in tv che ha visto un uomo dalla pelle scura, sapendo che non è vero: “Non dovresti spaventare tutti finché non sappiamo la verità”. Ma nemmeno lei, come il regista, si mette a prendere in giro i loro comportamenti: cerca di capire e far ragionare, in maniera decisa ma rispettosa, il marito e il suo amico. Eppure l’ambiente del paese non è di sicuro favorevole al genere femminile: la scena in cui i componenti della ronda sentono le urla di una donna e si allarmano, ma poi non fanno assolutamente niente quando si accorgono che è soltanto il marito che la rincorre con una frusta ce lo mostra in tutta la sua crudele assurdità.
[Aggiornamento] Grazie al commento di Massimiliano – vedi sotto – ho appreso che la scena in questione non è violenza domestica, ma fa parte di una tradizione boema/morava che si celebra la mattina del lunedí di Pasqua. Grazie di cuore a Massimiliano per avermi corretto e avermi fatto imparare una cosa nuova. I blog servono anche a questo.

L’assurdo della vita quotidiana è uno dei temi che lega l’opera prima del regista ceco alla Nová vlna, il movimento cinematografico nella Cecoslovacchia degli anni sessanta: in un’intervista*** si dichiara un estimatore dei primi film di Milos Forman che, insieme a Jaroslav Papoušek e Ivan Passer e altri, fu tra gli esponenti principali della nouvelle vague ceca. Rybansky dice di amare i loro film per come siano comici, buffi, crudeli e critici nello stesso tempo. Riguardo alla genesi del film afferma:

“Sono nato in un piccolo paese di 5000 abitanti dove alcuni dei miei migliori amici e anche alcuni membri della mia famiglia avevano opinioni un po’ razziste su alcune questioni. Con questa storia ho voluto raccontare e esplorare proprio questo: quando qualcuno che ti è vicino inizia a essere un po’ razzista. […] Quando ho iniziato a lavorarci era il 2017, un anno in cui in alcune città europee ci sono stati attentati terroristici che hanno usato un autoveicolo come mezzo di distruzione. E ho pensato: cosa succederebbe se qualcosa di simile avvenisse in un piccolo paese? Una cosa assurda di sicuro, ma questa è stata l’idea base per questo lungometraggio.”

Insomma, un film da guardare di sicuro: lo potete fare gratis su Arte.tv fino al 31 dicembre, all’interno della rassegna Artekino, rassegna di nove film diretti da giovani registi europei, segnalati o premiati nei principali festival del nostro continente.
Buona visione.


* al di là delle numerose interpretazioni e dei simbolismi successivamente acquisiti, “Somewhere over the Rainbow” per me rimarrà sempre la canzone legata a uno dei libri più belli di Beppe Fenoglio.

** la maggior parte delle riprese del film sono state effettuate a Chvalnov-Lísky: questa è la chiesa dove è stata girata la messa di Pasqua e la scalinata dove Bronya tiene un discorso populista.

*** L’intervista al regista è visibile sempre su Arte.tv, e si trova corredo di ogni film presentato nella rassegna Artekino. Ah, se volete, potete registrarvi e votare i lungometraggi partecipando così all’estrazione di una bici elettrica. Io, che personalmente ho una discreta allergia verso ranking e stelline, l’ho fatto perché se vinco, vendo la bici elettrica e ne compro una nuova a pedali ché sto sempre seduto davanti a un monitor e fare un po’ di movimento senza inquinare fa bene a me e a chi mi sta intorno.