Ce la fai a scrivere ancora su Facebook? Il cuore ti reggera?

Ti regge la pompa?

Tre notizie, tutte di oggi, riguardanti Meta Platforms.

La prima: Meta eliminerà i factchecker e consiglierà più contenuti politici su Facebook e Instagram. Questo il succo di un messaggio video in cui Mark Zuckerberg ha promesso di dare priorità alla libertà di parola dopo il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. Il servizio di fact-checking sarò sostituito da un sistema simile al community notes già presente su X di Elon Musk che si affida agli account della propria piattaforma per aggiungere avvertenze e contesto ai post che possono risultare controversi.

La seconda: Mark Zuckenberg ha nominato Joel Kaplan nuovo presidente degli affari globali di Meta. Kaplan è un ex membro del Partito repubblicano, già vice capo di gabinetto della Casa Bianca durante la presidenza di George W. Bush che non ha mai nascosto le sue simpatie verso Donald Trump. A corredo del messaggio video di Zuckerberg, Kaplan oggi ha scritto un post dove ribadisce il fatto che saranno rimosse alcune restrizioni su argomenti come immigrazione, genere e identità di genere.

La terza: John Elkann, presidente di Stellantis e amministratore delegato di Exor, holding della famiglia Agnelli, è entrato a far parte del consiglio di amministrazione di Meta. Elkann, grande estimatore dei dividendi finanziari, della delocalizzazione alla ricerca di salari bassi, in quatrro anni ha distribuito agli azionisti 23 miliardi di euro tirando in ballo le politiche ambientali europee e l’arrivo delle auto cinesi come motivo per il declino dell’automotive in Italia.

Come ciliegina finale si può aggiungere il fatto che insieme a Elkann nel cda di Meta è entrato Dana White, presidente della Ultimate Fighting Championship, la più importante organizzazione nel campo delle arti marziali miste. Convinto supporter di Donald Trump, è stato tra i primi a ringraziare per aver contribuito alla sua vittoria i podcaster e gli streamer Joe Rogan, Adin Ross e Theo Von.

Ora dimmi te: avrò il coraggio di continuare a stare, seppur molto saltuariamente e a modo mio, su quella piattaforma?
O, come dicono a Roma, quanto mi reggerà la pompa per sopportare che i quattrini che fanno sulla pelle dei miei dati vadano in queste direzioni e a queste persone?
E tu che, forse non hai nemmeno le mie idee politiche o tutte le mie remore, ma che reputi queste persone lontane da te e da quello che credi, ce la fai a continuare a dirgli a cosa stai pensando?

[Aggiornamento | h 19.00] Durante una conferenza stampa hanno appena chiesto a Trump se le decisioni prese oggi da Zuckerberg siano dovute alle sue minacce (tra cui quella di ficcarlo in galera).
Trump ha risposto: “Probabilmente”. Aggiungendo “penso che Meta e Facebook abbiano fatto molta strada.”

(Immagine via at that time | Bluesky)

Tempi duri per il caro vecchio link - Immagine di D koi

Tempi duri per il caro, vecchio link

Non che ci fosse un estremo bisogno di conferme, i più accorti lo avevano già capito sperimentandolo direttamente sulla propria pelle, ma da un paio di giorni ci sono le parole scritte direttamente dal proprietario di X: i post che contengono un link esterno vengono penalizzati nella diffusione sul suo social network.

Facebook è già dal 2017 che adotta questa tecnica, privilegiando commenti e like invece dei click, tanto che i suoi iscritti da un po’ di tempo hanno iniziato a proporre eventuali link esterni nel primo commento dei propri post. È Musk stesso a prendere atto di questo e a dire la stessa cosa per il suo megafono personale: chi vuole può scrivere un descrizione nel primo tweet e inserire il collegamento nel primo reply – così “this just stops lazy linking“.

Will Oremus lo scrive oggi sul Washington Post:

È un altro segnale che l’umile collegamento ipertestuale – il tessuto connettivo dell’Open web – sta attraversando un periodo difficile.

Oltre a X e a Facebook, anche Threads – per bocca del suo reponsabile Adam Mosseri – ha ammesso che il social non penalizza direttamente i post contenenti collegamenti ipertestuali, ma l’algoritmo potrebbe dare priorità a quelli che generano più commenti e like.

Ora: potrei tranquillamente usare l’epressione ormai abusata e cacciariana del “sono vent’anni che lo dico!”, ma non servirebbe a niente. Anzi, sarebbe peggio. Perché se questo è un segnale che lampeggiava da tempo, tipo allarme rosso, agli occhi di chi ha a cuore la condivisione e una visione del web lontana dai giardini recintati tanto cari ai tech bro e ai monopolisti della Rete, bisogna ammettere che non si è avuta la capacità di opporvisi: non si è rusciti a far capire che un link a una fonte esterna era un valore aggiunto per un social perché forniva un’attendibilità e una base più concreta – sempre verificabile dalle persone che cliccavano e andavano a leggere – a un ragionamento o a un’affermazione. Perdendo questa battaglia sui link, sono arrivati gli e le influencer che parlano di argomenti senza alcun bisogno di dimostrare e mostrare nient’altro che il numero stratosferico dei loro followers e relativi commenti.

Per ora, tra i maggiori social network, solo Jay Graber, CEO di Bluesky, ha dichiarato la propria apertura verso i link esterni; e credo che anche Mastodon non applichi nessuna penalizzazione. Per chi vuole starne fuori o non usare soltanto i social, ci sono sempre i blog, i forum, le newsletter e i giardini digitali dove il caro vecchio href, primo motore del web, sopravviverà.
In attesa della chiusura – ne sono sicuro – di questi orticelli chiusi votati principalmente al profitto e a poco più. Perché, come ha ribadito Cory Doctorow aggiungendo un’ultima fase ai tre step dell’enshittification delle piattaforme: alla fine “they die”.

(Immagine di D koi | via Unsplash)