Tempi duri per il caro vecchio link - Immagine di D koi

Tempi duri per il caro, vecchio link

Non che ci fosse un estremo bisogno di conferme, i più accorti lo avevano già capito sperimentandolo direttamente sulla propria pelle, ma da un paio di giorni ci sono le parole scritte direttamente dal proprietario di X: i post che contengono un link esterno vengono penalizzati nella diffusione sul suo social network.

Facebook è già dal 2017 che adotta questa tecnica, privilegiando commenti e like invece dei click, tanto che i suoi iscritti da un po’ di tempo hanno iniziato a proporre eventuali link esterni nel primo commento dei propri post. È Musk stesso a prendere atto di questo e a dire la stessa cosa per il suo megafono personale: chi vuole può scrivere un descrizione nel primo tweet e inserire il collegamento nel primo reply – così “this just stops lazy linking“.

Will Oremus lo scrive oggi sul Washington Post:

È un altro segnale che l’umile collegamento ipertestuale – il tessuto connettivo dell’Open web – sta attraversando un periodo difficile.

Oltre a X e a Facebook, anche Threads – per bocca del suo reponsabile Adam Mosseri – ha ammesso che il social non penalizza direttamente i post contenenti collegamenti ipertestuali, ma l’algoritmo potrebbe dare priorità a quelli che generano più commenti e like.

Ora: potrei tranquillamente usare l’epressione ormai abusata e cacciariana del “sono vent’anni che lo dico!”, ma non servirebbe a niente. Anzi, sarebbe peggio. Perché se questo è un segnale che lampeggiava da tempo, tipo allarme rosso, agli occhi di chi ha a cuore la condivisione e una visione del web lontana dai giardini recintati tanto cari ai tech bro e ai monopolisti della Rete, bisogna ammettere che non si è avuta la capacità di opporvisi: non si è rusciti a far capire che un link a una fonte esterna era un valore aggiunto per un social perché forniva un’attendibilità e una base più concreta – sempre verificabile dalle persone che cliccavano e andavano a leggere – a un ragionamento o a un’affermazione. Perdendo questa battaglia sui link, sono arrivati gli e le influencer che parlano di argomenti senza alcun bisogno di dimostrare e mostrare nient’altro che il numero stratosferico dei loro followers e relativi commenti.

Per ora, tra i maggiori social network, solo Jay Graber, CEO di Bluesky, ha dichiarato la propria apertura verso i link esterni; e credo che anche Mastodon non applichi nessuna penalizzazione. Per chi vuole starne fuori o non usare soltanto i social, ci sono sempre i blog, i forum, le newsletter e i giardini digitali dove il caro vecchio href, primo motore del web, sopravviverà.
In attesa della chiusura – ne sono sicuro – di questi orticelli chiusi votati principalmente al profitto e a poco più. Perché, come ha ribadito Cory Doctorow aggiungendo un’ultima fase ai tre step dell’enshittification delle piattaforme: alla fine “they die”.

(Immagine di D koi | via Unsplash)

Ora X - lascio Twitter dopo 17 anni - Foto di Ales Krivec | Via Unsplash

L’ora X

Credo che Twitter sia stato il primo social a cui mi sono iscritto: era il Gennaio 2007 e ritrovai lì le persone che ancora scrivevano alacremente post sui loro blog, ma iniziavano a ripostarne un estratto e il relativo link anche sulla timeline dell’uccellino blu, rispettando l’allora insolita regola di stare in 140 caratteri.
A ondate sempre più consistenti, una buona parte della blogosfera italiana iniziò a ritrovarsi su queste piattaforme, in particolare su FriendFeed – poi comprato nel 2009 da Facebook, affossato e chiuso sei anni dopo.

Twitter e il suo servizio di micro-blogging invece ha avuto una storia diversa, ma con un finale ugualmente triste, almeno per me.

Con il passare dei mesi, oltre che diffusore dei contenuti pubblicati su altre piattaforme (non social) sul social network creato da Jack Dorsey iniziò a svilupparsi sia una proficua attività di interazione tra i tweep – in gergo nerd le persone iscritte e Twitter si chiamavano così – sia una produzione autonoma di contenuti attraverso la possibilità di pubblicare, oltre al testo, prima foto e poi anche video.
In breve tempo, insieme al succitato Friendfeed, ai blog e a poche testate online, Twitter divenne la principale fonte di informazione, in special modo per i fatti che si stavano svolgendo in diretta, le cosiddette & maledette breaking news. Sull’onda di questo flusso di informazioni nel dicembre del 2008 approntai una trasmissione live “I greci fuochi” sulla mai troppo compianta radio catrame19: una diretta web con social media coverage delle manifestazioni di protesta che per giorni si volsero in Grecia per l’assassinio da parte della polizia del giovane Alexandros Grigoropoulos. Fu un livestreaming molto partecipato, se penso che si tratta di 15 anni fa e che si svolse nel pomeriggio, con YouTube che ancora non usava le live e Twitch che non esisteva proprio. Mi dispiace solo di aver perso la registrazione e di non averla caricata su archive.org.
Twitter e i suoi hashtag si rivelarono uno strumento nuovo e efficacissimo per filtrare e scegliere contenuti: nel luglio 2009, in una intervista/conversazione in un podcast di Antonio Sofi paragonavo un po’ picarescamente i social network alle cozze, capaci di filtrare lo sporco del mare magnum di contenuti tramite innovazioni semplici ma geniali come l’hashtag – nata su Twitter dal basso grazie a un’intuizione del blogger Chris Messina.

Il risultato più utile e umanamente soddisfacente che ho ottenuto grazie a questa funzione di aggregazione, è l’aver scoperto e essere entrato in contatto con nuovi produttori di contenuti, avendo l’opportunità di saggiarne in prima persona l’affidabilità e l’originalità.
Per dirne solo alcuni e dimenticando di sicuro altri e altre ugualmente validi, è stato così che ho conosciuto e apprezzato l’opera di giornalisti e attivisti come Kostas Kallergis, TeacherDude, Theodora Oikonomides, Spyros Gkelis (in Grecia) e Leonardo Bianchi, Marina Petrillo e Claudia Vago (in Italia). E molti altri, in Europa e fuori.
È stato così che, grazie a un’idea di Marina e Claudia, insieme a Mehdi Tekaya e Luca Alagna – vecchia conoscenza nella blosgosfera dei primi anni zero – sono nati esperimenti e progetti come Yearinhashtag e 140nn: strumenti di mediattivismo o citizen journalism o informazione dal basso – o come diavolo volete chiamarlo – che mi hanno permesso sia di apprendere e incrociare conoscenze e media – testuali, audio e video – sia di incontrare e conoscere in real life le persone conosciute sul social network.
È stato ancora così, attraverso l’attività quotidiana sulla piattaforma dei cinguettii, che la gestione e la cura dei contenuti social è diventata parte del mio ormai ultraventennale lavoro online di bit-worker.
Insomma: credo di non esagerare scrivendo che Twitter – al pari del blog – ha rappresentato, almeno per una decina di anni, uno degli ambienti online in cui mi sono trovato meglio, dove ho appreso di più e conosciuto persone in gamba.

Oggi lascio Twitter: pausa a tempo indeterminato dal social che due anni fa è stato comprato da Elon Musk che ne ha cambiato il nome e lo sta progressivamente trasformando nel suo costosissimo – 55 miliardi di dollari – megafono personale, aumentandone la tossicità fino a un punto per me diventato intollerabile.
È scattata l’ora X sia per me sia per altre fonti e comunità digitali che frequento e di cui mi fido: da NPR, tra i primi a andarsene, a Valigia Blu, da Fabio Chiusi al Guardian. Altri e altre sono sicuro che si aggiungeranno nelle prossime settimane, quando il DOGE di Trump si sentirà ancora di più il babbo di Dio e chissà quali altri attacchi da capo-troll e disi/misinformazione sputerà fuori.

Continuerò a usare con parsimonia qualche social network – Bluesky, Mastodon e un po’ meno Facebook – leggerò più libri, avrò più tempo per me, le mie amicizie e le persone che mi girano per casa – come dice un mio vecchio amico blogger.
E mi dedicherò di più e meglio a questo mio trascurato blog, provando a incrociare testi, audio e video in modi a cui penso da tempo e che non ho mai provato a sperimentare qui sopra.
Chiudi tutto, Biascicò!

(Foto di Ales Krivec | Via Unsplash)