This was Ascoli nel Piceno, not L.A.
Libero Montanari – un amico che ha più fantasia di Pessoa nel trovare e affibbiarsi nomi nuovi – sta scrivendo su Facebook una serie di post che ricostruiscono la scena punk hardcore e metal ascolana, partendo dai primi anni Ottanta e citando opere e compagni di strada.
Per non lasciarli disponibili solo sulla piattaforma di Zuckerberg, ho scritto a Libero Montanari chiedendo il permesso di ripubblicarli qui in questo post, man mano che usciranno.
(per fare i precisi e i didascalici: il titolo del post ricalca la dicitura che ha usato Libero nei suoi post sul social, a sua volta omaggio e calco di This Is Boston, Not L.A.)
Si fa fatica a pensare che una piccola città possa avere o abbia potuto avere una scena interessante.
Ma qualche giorno fa, rimettendo ordine fra le mie cose, mi son passati fra le mani tanti di quei dischi, di quelle vecchie cassette, tanti di quei vecchi gruppi punk, hardcore e metal più o meno incasinati, che non ho potuto allontanare l’idea di ricostruirla, quella scena, raccogliere in un cd le produzioni di quelle bands e poter dire: questa era Ascoli nel Piceno, non Los Angeles.
Primo: Paloia
– Live at C.S. Libera Comunanza San Benedetto ( Ap )
In Piazza del Popolo, ad Ascoli nel Piceno, si distingue l’edicola dedicata alla Madonna di Reggio, dell’anno 1639. Tradizionalmente attribuita a Lazzaro Morelli, fu in realtà realizzata dallo zio Silvio Giosafatti.
Nei secoli seguenti, assecondando la tipica specializzazione degli spazi, l’edicola ha sempre caratterizzato la concentrazione dei diversi, i cosiddetti Freaks.
Largo ai vecchi: Stige (1987)
– Una vita (1987)
In special modo, dai primi anni ’80 in poi, punx e metallari, accomunati dal disprezzo in egual misura della nobiltà agraria, della borghesia industriale e del proletariato urbano, in realtà unità distinte e contrapposte.
Sul finire degli ’80, al seguito dell’aretino Frankie Giaconi, si rivelarono in edicola questi Furious Barking, il cui primo Ep fu prodotto dal Montanari per la sua etichetta Goddamn Church nel 1989. Quando, nel 1992, a distanza di pochi giorni, si sciolsero sia gli Stige che i Furious Barking, il Montanari mise su gli Affluente con 3 di quei giovanotti per il primo Ep della band, Logica dominante. Frankie è fin dal 1992 membro attivo, fondamentale e indispensabile degli Affluente e a lui si deve la composizione di decine di pezzi memorabili.
Questi erano ad ogni modo i Furious Barking.
– “Always From Iside”,
Punishment 18 Records (2008)
Nell’estate del 2006 il Montanari, residente nella tranquilla cittadina olandese di Leiden, in un piccolo appartamento adiacente a quello in cui René Descartes aveva scritto nel 1636 il “Discorso sul metodo” e i tre saggi scientifici “La diottrica”, “Le meteore” e “La geometria”, scese improvvisamente ad Ascoli nel Piceno.
L’idea era quella di cantare un’ultima volta negli Affluente, prima di diventare padre della bella Emma e chiudere così il suo periodo hardcore.
Il disco che ne uscì fu “Libera fame”, 15 mazzate di pura e potentissima vecchia scuola. In quel tempo il Montanari era un uomo convinto di morir presto. Così prese a sciacquarsi la faccia a tutte le ore del giorno, per poi cominciare a urlare le prime cose che gli venivano in testa per buona parte della notte.
Erano cose di questo tipo: “La sovranità del riso è una tattica di potere, un gioco tragico. Predica la pena di vivere e dà consistenza teologica alla trama. È uno spettacolo che si annuncia ogni volta senza repliche e che ogni volta si ripete uguale, una puttaneria intellettuale fra gli applausi dei fans dell’autonomia operaia. Lo spirito di rivolta deve saper distruggere l’esaltazione del sacrificio del lavoro. Deve saper distruggere l’innata chance del potere di essere obbedito. Perché lo spirito di rivolta non ha niente a che vedere con la devianza e la marginalità, che sono i tratti infantili di un sistema che si pretende perfetto”.
Qui il brano che dà il titolo all’album, “illustrato” dall’amico Strelnik.
Libera fame, SOA Records (2006)
Fra gli anni ’80 e ’90, presso l’edicola del Giosafatti, ad Ascoli nel Piceno, le discussioni fra punx e metallari erano accesissime. Al puro spirito DIY dei primi si opponeva la presunzione e l’alterigia del tecnicismo metallaro.
Ascoltate un po’ questi Algophobia, ad esempio.
All’anarchismo tipico di chi prendeva in mano uno strumento per la prima volta e il cui unico proposito era quello di aggredire la società e farla sanguinare con la rivolta, faceva scudo uno studio matto e disperatissimo dell’utensile a corde o percussivo, e fors’anche la volontà di emergere nel mondo della musica. A risentirli oggi, certo, lo si può dire: erano bravi.
Il Montanari è certo di aver spaccato pietre suppergiù dal 1985 al 1998. E’ altrettanto sicuro di aver speso i suoi salari in produzioni, registrazioni e concerti.
Così, dai primi anni ’90, ad Ascoli nel Piceno, arrivano gli Agnostic Front, gli Slapshot, gli Ignite, i Ratos de Porao. La scena si allarga. I ragazzi imbracciano gli strumenti e formano bands. Viene occupata la vecchia palestra comunale in Via delle Terme. Tutto un fermento al di fuori dell’edicola del Giosafatti. Lo spazio aperto viene sostituito dal chiuso. Il Montanari è un po’ stronzo e non gli piace tanto.
Nel ‘600 all’edicola venivano accompagnati i condannati a morte prima dell’impiccagione. L’edicola è il luogo del rifiuto e dell’opposizione. Il centro sociale è il centro sociale.
Ma tant’è. Il nuovo secolo nasce con tutti questi nuovi gruppi che fomentano e spaccano in Via delle Terme, un’alba documentata da K.O. compilation, una cassettina con K.M.K., Sioux W.T.2, Dictator Shit, Gestapo Boyz, Apples Apples S., Caciorro Loco.
E poi i sedicenni Punkids, ad esempio.
Nel 1994 Frankie Giaconi era ancora incerto sulla strada da prendere. Incamminatosi con gli Affluente verso il sentiero hardcore, virò un attimo sulle orme groove-metal con gli In-Cute.
Figura di culto nella controcultura punk italiana, Pierpaolo de Iulis rappresentava per me, suppergiù intorno al 1985, il ragazzetto a cui affidare pratiche difficili, ad esempio volare a Trieste per intervistare gli Upset Noise.
Crescendo ha fatto un po’ di tutto: il produttore discografico, l’editore, il regista (suo il documentario sulla new wave italiana “Crollo nervoso“), il cantante, il dj, l’organizzatore di eventi (in particolar modo lo ricordiamo in qualità di direttore artistico, responsabile programmazione e presidente onorario del “Road To Ruins Film Festival” di Roma).
Fondamentalmente, a cinquant’anni suonati, resta il rompicoglioni di sempre.
La creazione che più lo rappresenta resta a mio parere UFO DIKTATORZ, una punk band che ricordano forse più a Roma che ad Ascoli nel Piceno, sebbene anche in patria abbiano gettato scompiglio a più riprese, gettando sedie dal palco e spaccando teste più o meno predisposte.
Uscendo dallo stadio facevi 100 metri, poi giravi a sinistra. Vagavi in campagna per un chilometro scarso ed eccoti al casolare di Pippo lu lattare. Lì provavano i gruppi ascolani, a ogni band la sua stalla o la stanzetta con i muri scrostati e l’aria che sapeva di fieno.
Che tristezza quando tutto finì e fummo costretti a spostarci in pieno centro città, con la gente che imbracciava le doppiette appena intonavamo “Crociate”.
Che conforto invece la recensione di Tim Yohannan su Maximum Rocknroll. E che rivincite sui punk metropolitani.
Non posso sopportare che la gente sia stagnante / che ubbidisca ciecamente / perché questa è la legge / che uccida soltanto perché è stato detto che è giusto / quando nessuno può arrogarsene il diritto.
Dictatrista, “Crociate” (1985)
Bhe, credo sia tutto cominciato intorno al 1978. In quel tempo, Ascoli nel Piceno era un letamaio clerico-fascista inondato da fiumi d’eroina.
Un deserto culturale, nel quale i cascami di una sinistra prossima all’implosione non avevano meglio da fare che prendersela con i pochi audaci propugnatori del “nuovo verbo” che si stava diffondendo dall’Inghilterra. Dunque si aggiravano fra i vicoli del letamaio questi ragazzetti con le scintille negli occhi.
Li conoscevo quasi tutti (due erano in classe con me alle magistrali, con uno condividevo sogni di gloria nel mondo del calcio).
I TELEBOYS provavano in una cantina, producevano pezzi provocatori giusto per rompere i coglioni al prossimo, e di solito i loro concerti si diluivano in scazzottate ai limite del codice penale.
Benché la Rave Up Records abbia recentemente ripubblicato su vinile i pezzi contenuti in una cassettina d’epoca, offrendo al pubblico una storica reunion del gruppo, il Montanari non può far altro che seguire la loro lezione e farsi irriverente, proponendovi “Vi ravviso o luoghi ameni”, un pezzo parecchio intrigante del chitarrista Emidio Guidotti (cui in verità il tempo ha riservato un destino davvero curioso, quello del cantante lirico affermato, in tour nei 5 continenti 365 giorni l’anno). Vai Mimmo.
Ad Ascoli nel Piceno, in un giorno qualunque, potevi sentir dire che in quella cantina, o in quel garage, o nel seminterrato accanto, stava accadendo qualcosa di grande. Allora facevi un salto e ad esempio scoprivi i Mikra, con ingredienti a base di Korn, Sepultura, Machine Head e altre polveri di questo tipo.
Quando uscivi dalla cantina, o dal garage, o dal seminterrato, cercavi di capire se l’avevi solo sognato. Quando infine ti rendevi conto che non c’erano trucchi, schioccavi le labbra, bevevi una birra e dicevi: “L’ho visto, l’ho ascoltato, è vero.”
La narrazione de “I Superflui” è piuttosto complessa. La prima è possibile ambientarla suppergiù nel 1987, sull’onda del revival garage punk dei sixties. La seconda è molto recente, una reunion intesa a una serie di concerti e alla pubblicazione di un nuovo disco (senza però la partecipazione di Fabio Fabiani, ovvero colui che formò e diede voce alla formazione originale). Della cui formazione originale non c’è traccia in rete, e dunque non ci resta qui che limitarci al tributo scritto, in occasione dell’ennesima ristampa su vinile del loro vecchio materiale, nel 2013.
Disse di loro il Reverendo Lys:
“Se esiste, e vi assicuro che esiste, un’ETICA della bassissima fedeltà, allora i Superflui di Ascoli Piceno c’erano dentro fino ai capelli. A ben guardare non c’era, nell’Italia edonista e falsa degli anni Ottanta, nulla di più vicino, attitudinalmente, alla no-fi culture profetizzata da Tim Warren di quanto emerso dalla cantina di Fabio Fabiani e dei suoi compari. Deraglianti, primordiali e lascivi, i Superflui violentavano il punk elettrico delle sixties bands americane con la stessa furia che aveva portato queste a stuprare il beat approdato a loro sulle navi salpate dalla Terra di Albione, con la stessa identica turpe innocenza generatrice di barbarie come quelle di combos quali Unrelated Segments, Stoics o Nobody’s Children.
Era l’intuizione primitiva dei Morlocks che investiva, deviandola, la mente di quattro teenagers debosciati sepolti nella periferia dell’impero. Chi storcerà il naso per la resa sonora di questo prezioso documento quindi, sarà tanto lontano dall’anima dei Superflui che stento a credere stia leggendo queste righe.
I Superflui erano una band senza immagine e, quasi, senza volto, proprio come tante delle misconosciute gangs dei mid-sixties evaporate artisticamente dopo pochi mesi di vita e poi ripiombate vent’anni più tardi su raccolte come Glimpses, Open Up Yer Door o Boulders.
Dei teppisti, tutto sommato. Quindicenni frustrati che depredavano gli archivi dei perdenti del rock ‘n’ roll e ci pisciavano sopra, insolenti e dispettosi.
Era l’altra faccia del garage punk italiano, lontano dai caschetti spioventi, dagli stivaletti a punta, dal filologismo storico, dal vampirismo vintage.
Sceglieva di non apparire. Esisteva, e tanto bastava.
Back Up mette ora mano sul materiale disseminato da quei giovani bastardi su rovinosissime cassette al ferro per ritirare fuori l’essenza di quel suono, lo spirito teen che trovava nell’imperfezione tecnica la sua sfida al mondo adulto, al suo perbenismo misurato anche dal dettaglio messo a fuoco, al suo rassicurante, ordinato magazzino di formalismo estetico. Questo è uno sputo sul vostro vestito, e non c’è detersivo che possa tirarlo via.”
Se oggi osserviamo l’edicola del Giosafatti, in Piazza del Popolo ad Ascoli nel Piceno, non possiamo non constatarne l’abbandono, la solitudine, una balaustra in ferro posta a proteggere l’immagine della Madonna. I freaks sono dunque scomparsi? Non credo. Più verosimilmente nascondono le proprie mostruosità in luoghi chiusi o poco frequentati. Fra le colonnine che sorreggono la trabeazione è ancora possibile decifrare alcune incisioni, scampate alle sabbiature e ai successivi restauri: le parole degli emarginati, dei rifiutati, degli eccentrici.
Non ci sono più eccentrici ad Ascoli nel Piceno?
Non credo. Più verosimilmente nessuno sente il bisogno di gridarlo al mondo. Il potere è dunque riuscito dove ogni potere deve riuscire: ha annullato il luogo della rivolta, ma ancor prima ha cancellato il senso di quel luogo, relegandolo al suo valore artistico, puramente estetico.
Nessuno più s’aggrappa ai gradini, nessuno più attenta alla sacralità del travertino seicentesco. Che il punk sia davvero morto?