Una città cresciuta dentro la foresta | episodio 4

C'era una volta la blogosfera | episodio 4| Una città cresciuta dentro la foresta


Il blog del Sir Squonk – al secolo Sergio Pilu – ha tante qualità: a parte quella di non aver mollato la scrittura neanche in anni in cui la blogosfera perdeva buona parte dei suoi componenti iniziali, c’è il fatto che ha sempre usato il mezzo come qualcosa di proprio, come una invisibile propaggine della propria casa – fosse solo per il dominio da pagare – e che glielo fa curare con una dedizione e una sincerità che rimangono uno dei maggiori valori dei personal media.

In più – e questo è il succo della puntata e dell’intervista col Sir – c’è il suo e-book che si chiama “Zona di alienazione” che nei confronti del blog è debitore, sia per la struttura, sia per l’esercizio nello scrivere che l’autore ha potuto coltivare fin dai primi anni zero, attività fondamentale per ideare e portare a termine questo libro.

Nel racconto del Sir si incontrano foreste che, pur malate, si riprendono lo spazio, contaminato per un paio di millenni ancora, palazzi che possono crollare in ogni momento. E la base militare segreta di Duga e il Picchio russo. Perché “Zona di alienazione” è il diario di un viaggio a Chernobyl che il Sir ha saputo ben intrecciare con il racconto della storia della sua famiglia in Brianza nel 1976, l’anno di Seveso e della fuga di diossina, rifacendosi all’esempio nobile del longread che Jonathan Franzen scrisse nel 2016 per raccontare un suo viaggio in Antartide e al contempo il legame con un suo zio.

Nel finalissimo di puntata, un altro suono e un altro dubbio arrivano, sempre grazie al contributo del compare di podcast, Davide Carbonai.

Dura 25 minuti in tutto – ci stiamo allargando, lo so.

Credits

Distribuzione e licenza

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“C’era una volta la blogosfera” è un podcast ideato, registrato e montato da Strelnik, pubblicato e distribuito sotto una licenza Creative Commons – Attribution-NonCommercial-ShareAlike 4.0 International (CC BY-NC-SA 4.0)

Linkografia

– Sir Squonk, Qualche cosa che ho imparato scrivendo un libr(ett)o” | via Blogsquonk

– Sergio Pilu, “Zona di alienazione” | autoprodotto via Amazon.

– Sergio Pilu, “Il tunnel” | autoprodotto via Amazon

– Luca Sofri, “Wittgenstein” | blog

– Dino Huseljic, “Io e il generale: da Milano a Srebrenica passando per il Tunnel” | via gli Stati Generali

– John Steinbeck, “Furore” | Bompiani


Musica, suoni e citazioni

– Bertolt Brecht canta “Die Moritat von Mackie Messer” | via UbuWeb

– Martijn de Boer (NiGiD), “Sudden Retropia” | via ccMixter

DUGA 3 ??? 2013?| via Michel Viani – YouTube

– Bryce835, “Data signal on 3587.5kHz USB.wav” | via Freesound

– L’immagine di copertina dell’e-book “Zona di alienazione” è di Claudio Bellingeri.


Trascrizione dell’episodio 4: “Una città cresciuta dentro la foresta.
(Grazie a Catia Bianchi)
(qui potete anche scaricarla/visualizzarla in formato pdf | 148 KB)

[musica] Bertolt Brecht canta “Die Moritat von Mackie Messer”

Strelnik – “Cane di ruga productions” presenta: “C’era una volta – e c’è ancora – la blogosfera”.

Benvenute e benvenuti alla quarta puntata.

[musica] Sudden Retropia | di Martijn de Boer (NiGiD)

Strelnik – Un podcast sui blog nel 2020, perché?

[suono] Segnale radar

Strelnik – Questo suono, noioso e ripetitivo, è un segnale radar che si poteva sentire sulle onde corte fino al 1989 e che arrivava dalla base militare segreta di Duga, una base costruita dall’Armata Rossa nei boschi vicino a Chernobyl, in Ucraina. E di un viaggio a Chernobyl – e anche di Duga e del vecchio Picchio russo – parleremo con Sergio Pilu, sui blog conosciuto Sir Squonk, che questo viaggio ha fatto diventare un eBook autoprodotto e che si chiama “Zona di alienazione”. Il blog del Sir Squonk lo leggo da tanti e tanti anni, e in particolare mi sono sempre piaciuti, oltre al suo stile di scrittura, i suoi post di viaggio in tempi in cui i travel blog erano ancora di là da venire. Ma il blog del Sir non è un travel blog, ma un luogo… un luogo dove poter parlare a se stessi, un crocevia per poter leggere altre storie e anche una palestra di scrittura. Per iniziare a parlare di “Zona di alienazione” e della città cresciuta dentro la foresta, sono partito dal post che annunciava l’uscita dell’eBook a febbraio del 2019, il post – che ho letto al Sir – terminava così: “ci sono pochi modi così efficienti ed efficaci per mostrare al mondo che sei dotato di un ego piuttosto sviluppato come autopubblicare un libro. Perché mai uno dovrebbe mettersi a nudo in pubblico se non essenzialmente per esibizionismo? È meglio ammetterlo subito, partendo mettendosi davanti allo specchio: il libro vero è quello che non hai scritto”. Signore e signori, Sergio Pilu, Sir Squonk.

Sir, eccoci.

Sergio Pilu – Buongiorno.

Strelnik – Buongiorno. “Il libro vero è quello che non hai scritto”, io ho letto questo suo post, che è datato 22 febbraio del 2019, e il suo post si conclude con “il libro vero è quello che non hai scritto”; nella colonna accanto c’è la dichiarazione d’intenti del suo blog che dice “la vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla”, che è del grande Gabo, Gabriel Garcìa Màrquez. Per cosa si scrive su un blog e poi anche fuori dal blog?

Sergio Pilu – Intanto, quell’ultima frase che ho scritto nel post… sto cercando di capire perché, perché poi, naturalmente, noi siamo anziani e quindi ci dimentichiamo… abbiamo la memoria del pesce rosso e quindi scriviamo le cose ma dopo ci dimentichiamo anche perché l’abbiamo fatto, però perché? Allora, boh, io posso ovviamente parlare soltanto per me stesso, in realtà, non mi prendo il compito… non ho la presunzione di farlo per nessun altro, io in realtà ho iniziato per imitazione, come credo abbiano fatto… non dico tutti, però tanti, perché c’era qualcuno che lo faceva e ti sembrava qualcosa che poteva essere in linea con te, diciamo, che quella cosa lì poteva avere a che fare con te; e siccome non c’erano quelle che vengono chiamate “le barriere d’accesso”, cioè era una cosa facile da fare, non avevi bisogno di mettere in piedi una gran baracca – una cosa tua – e devo dire che ho continuato fondamentalmente per lo stesso motivo, togliendo la parte dell’imitazione, che è quella che probabilmente ha dato il La, cioè ha fatto sì che… insomma ci fosse un qualche esempio da seguire, credo proprio…, facendo la citazione, penso che il primo, almeno quello che mi viene in mente in questo momento, sia stato il blog di Luca Sofri, probabilmente io ho iniziato… non tanto per lui, ma perchè avevo iniziato a seguire lui, poi uno tira l’altro, però lui probabilmente mi era rimasto come quello più evidente, anche come forma, come metodo, il mettere insieme robe sue con cose invece più generali, più… se vogliamo dire alte, non lo so, insomma. Poi ho continuato sempre per quel motivo, cioè ho continuato perché era una cosa che sentivo mia. E anche adesso – sul blog scrivo più raramente – continuo a farlo ma lo faccio esattamente per quel motivo, non ho nessun reale motivo, non c’è un motivo professionale, non c’è un motivo concreto. Nel corso del tempo il blog ha perso anche parte di quella sua capacità di interazione, per cui è venuto anche un po’ meno…, non totalmente, ma è venuta un po’ meno quella sua forma di utilità, e ciò nonostante rimane comunque una utilità per me, una utilità di fondo che è quella di avere un posto mio, cioè io veramente lo considero come se fosse una estensione di casa mia, tant’è vero che pago il dominio esattamente come pago la rata del mutuo, cioè è esattamente la stessa cosa, insomma. Elucubrandoci un po’ sopra, ma non so quanto questo sia vero, o meglio, un po’ lo penso, ma poi credo anche che sia un tot di costruzione mentale per giustificare il tutto, però mi piace anche un po’ l’idea che attraverso… che qualcuno, in un altro momento, attraverso tanti piccoli racconti singoli, e facendo proprio la tara di tutta l’enorme massa di fuffa e inutilità, però qui e là trovi qualcosina che contribuisca a creare una sorta di senso comune. Vabbè, potremmo usare la formula “la storia con la s maiuscola” o “le storie piccole” eccetera, detta meglio è quella cosa lì. E quindi mi piace anche l’idea di metterci pezzetti miei, che forse valgono di più, appunto, quando scrivo di cose mie che non quando scrivo di cosa ne penso, non so, dell’ultima manovra del governo, posto che a qualcuno possa mai interessare cosa io penso dell’ultima manovra del governo.

Strelnik – Da questo esercizio – che è quasi quotidiano, ora si è allentato un po’– poi viene voglia anche di cimentarsi con altri mezzi, con altri strumenti; uno di questo, e lei l’ha già usato due volte perché parliamo di “Zona di alienazione”, oggi, ma poi ce n’è un altro ancora, che si chiama “Il tunnel”, che è la storia di un altro viaggio, stavolta in Bosnia. La storia, invece, di “Zona di alienazione” è un viaggio, fatto con altre persone italiane poi unitesi a un altro gruppo di persone provenienti da tutto il mondo, anzi un paio di queste persone, non so se questa è una (parola incomprensibile), una di queste persone è una conoscenza comune ed è un blogger anche lui dei…

Sergio Pilu – In realtà, due su tre sono blogger.

Strelnik – Due?

Sergio Pilu – Due su tre.

Strelnik – E questo suo eBook racconta di questo viaggio a Chernobyl. Ho letto un’intervista su Gli Stati Generali e lei, giustamente, dice “sono uno scrittore non professionista, ma sicuramente…” l’estensione dell’articolo diceva “Sir Squonk è un viaggiatore professionista”, i suoi viaggi… mi ricordo di aver letto molti suoi post di viaggi, mi ricordo molti degli Stati Uniti, questo sono due storie – senza far troppi spoiler – però c’è la storia del viaggio vero e proprio a Chernobyl e poi ce n’è un’altra, molto più personale, molto ben mischiata con l’altra, che è la storia sua personale, in special modo della sua famiglia nell’anno 1976, l’anno di Seveso, della fuga di diossina nell’aria, quindi fortunatamente con esiti molto meno tragici di quelli ucraini. Per entrare proprio con i piedi nel libro, mi piaceva se poteva leggerci un pezzo sui boschi.

Sergio Pilu – La zona di Chernobyl, l’intera area di alienazione, in questo momento – basta andare a guardare su Google Maps – sia nella parte dell’Ucraina e soprattutto nella parte della Bielorussia, che in realtà è la zona di alienazione più grande ma meno conosciuta, per i vincoli che ci sono nell’andare in quel posto, è un enorme bosco. In realtà poi io ho imparato… scrivere libri serve a studiare, e quindi serve anche a mettere un po’ di toppe ai buchi della nostra ignoranza, e quindi ho imparato la differenza tra bosco e foresta. Quindi, questo ad esempio, prima era un bosco e adesso è una enorme foresta, di dimensioni gigantesche.

Strelnik – Se non mi ricordo male, è scritto nel suo libro “il bosco è controllato dall’uomo là dove invece la foresta sfugge al controllo umano”.

Sergio Pilu – Esattamente, esattamente. Cioè, la foresta è il bosco dove non c’è l’uomo, quindi il bosco che poi a un certo punto diventa una cosa a se stante. Mentre la foresta, nel momento in cui arriva l’uomo, lo cura, cura appunto il sottobosco, questo diventa in qualche modo controllato dall’uomo. Quindi, la zona di alienazione è un enorme… stavo per dire “parco naturale”, fa un po’ impressione, è un po’ bizzarro definirlo così, ma in realtà c’è veramente tantissima natura. Il pezzo che lei gentilmente mi ha chiesto di leggere è questo:

“Prendiamo i boschi: che cosa c’è di più naturale dei boschi? Di più vero, di più santo perché vivo, come avrebbe detto il Jim Casy di Steinbeck. Eppure qui gli alberi crescono molto più lentamente di quelli che vivono in zone non radioattive. Gli uccelli hanno il cervello parecchio più piccolo rispetto ai loro pari che volano dove non è scoppiata una centrale nucleare. I funghi, i microbi e gli insetti non sono più capaci di riciclare il materiale organico per farlo tornare a essere una componente fondamentale del suolo. I pini della Red Forest, incendiati subito dopo l’incidente per l’enorme esposizione alle radiazioni, non si decompongono; sono rimasti esattamente quelli che erano nell’aprile del 1986. Solo morti. Una foresta fossile, esposta a vento, pioggia, sole e neve, ma tutto questo noi non lo vediamo. Per noi il disastro sono la centrale e i palazzi pericolanti di Prip”yat’, non questi tronchi radioattivi come barre di uranio, che sembrano in tutto per tutto identici e a quelli di Villa Ada”.

Strelnik – Un altro tratto che mi ha colpito nelle descrizioni di Chernobyl, della zona, è l’enormità. C’è un capitolo nel suo libro che si chiama “Big”, l’enormità delle strutture, come diceva lei, che potrebbero crollare da un momento all’altro; l’enormità dell’estensione stessa, perché lei scrive che è come se fosse una zona cinque volte Parigi poi svuotata di tutto. Per centinaia di anni lì non si potrà vivere, non so per quanto ancora…

Sergio Pilu – Qualche migliaio, dicono qualche migliaio.

Strelnik – Qualche Migliaio.

Sergio Pilu – Posto che, ovviamente, nessuno sa che cosa… che cosa veramente succederà, perché è così come… è l’ultima scena del libro, la racconto velocissimamente: noi stavamo dentro una di queste enormi, letteralmente enormi torri di raffreddamento. La torre di raffreddamento è una sorta di grattacielo fatto a parabole, sono dei paraboloidi, quindi non viene su dritto, ed è larga diciamo… vabbè, insomma, il diametro superiore è più di un centinaio di metri, il buco superiore, perché ovviamente è aperto, alto molte decine di metri… una cosa gigantesca, e dentro si trova una turbina, che era una delle turbine che dovevano pompare poi l’acqua appunto di raffreddamento. Era una cosa che… letteralmente è come stare sotto l’Empire State Building però svuotato, ed essendo vuoto sembra ancora più grosso. Noi eravamo dentro, eravamo in nove più Igor, che era il ragazzo che ci accompagnava, e a un certo punto qualcuno gli ha chiesto “vabbè, e di tutta questa cosa qua cosa ne verrà fatto?”, perché in realtà c’è il programma per la dismissione della centrale, che andrà avanti fino al 2070, quando noi non ci saremo, però si parla della centrale, ma tutto il resto? E la sua risposta, poi da vero slavo, quindi poche parole… “non lo sa nessuno”, “Come non lo sa nessuno?”, e lui ci guarda letteralmente con la faccia come per dire “ma siete veramente… vi devo proprio spiegare tutto? Cioè, non ci arrivate voi da soli?”, ci ha mostrato con la mano…, in realtà la centrale si vede da quella posizione, sarà a un paio di chilometri, e ci ha detto “guardatevi intorno e pensate a fare implodere questa struttura all’interno della quale noi ci troviamo in questo momento; questa cosa qua nel migliore dei casi, al di là del fatto che non abbiamo soldi per poterlo fare”, perché è un paese povero, perché c’è la guerra civile perchè… A noi, quando siamo andati, ci hanno detto “arrivate fino a Kiev. Da lì in poi, però, se vi spostate a est lo fate sotto vostra responsabilità. Quindi “guerra civile, mancanza di soldi… e non avremmo le risorse per poterlo fare. Ma se anche le avessimo, la caduta di questa cosa, per quanto controllata, creerebbe un micro terremoto. Secondo voi, un micro terremoto con una centrale nucleare in dismissione a due chilometri da qui come pensate che si possa fare?”, e allora… al che gli abbiamo detto “d’accordo, abbiamo capito. E quindi cosa succederà?”, lui ci guarda e fa “non lo sa nessuno”. Poi ha preso e siamo tornati via. E letteralmente non lo sa nessuno che cosa succederà. È una cosa affascinante da un certo punto di vista. Mi perdoni, perché poi ci siamo persi a un punto…, questo è collegato alla dimensione, ok?

Strelnik – Sì.

Sergio Pilu – Però la dimensione è anche… la dimensione è un pezzo, e l’altro pezzo è il non avere praticamente più controllo di nulla, cioè quello che è successo è successo, e a questo punto puoi soltanto cercare di mettere delle pezze, infatti c’è il programma di decommissionamento della centrale, ma per il resto basta. E infatti la natura si è ripresa quello che aveva, la natura nelle sue forme poi, appunto, anche malate: è pieno di animali selvatici, che ovviamente tanto bene non stanno… Ho avuto paura… la paura vera, per trenta secondi in tutto il viaggio, è stato quando mi son trovato da solo dentro un corridoio di uno di questi palazzi disabitati di Pripyat mi sono trovato un cane selvatico dietro; io tra l’altro ho paura dei cani – questo non va detto a mio onore – e però ho fatto questi trenta secondi dove lui guardava me come un alieno, io guardavo lui come invece qualcosa di pericoloso, e mi sono ammazzato letteralmente dalla paura. E poi, appunto, queste enormi foreste che prendono… che letteralmente si rimangiano gli abitati, piccoli o grandi abitati che c’erano; in questo moment l’unico abitato è la città di Chernobyl, la cittadina di Chernobyl, dove abitano per un massimo di due settimane filate coloro che lavorano ai programmi di decommissionamento, e per il resto è svuotata. E infatti la grande città di Pripyat, che era una città da cinquantamila abitanti, viene inglobata, anno dopo anno viene inglobata dalla foresta. Loro hanno questo modo di dire che a me è sembrato – e l’ho citato – è sembrato piuttosto interessante, e lo si capisce molto bene andando in alto, a noi ci hanno portati al sedicesimo…, in realtà sulla terrazza diciamo, al sedicesimo piano di un palazzo, pericolante ovviamente, e da lì si vede benissimo che la foresta riassorbe la città, e loro hanno questo modo di dire che è “toh, guarda, c’è una città che è cresciuta dentro la foresta”.

Strelnik – E all’interno di questa foresta, lì dentro, c’era una base che si chiamava la base di Duga, che noi nella prima parte abbiamo fatto sentire il segnale che io non conoscevo, l’ho scoperto grazie al suo libro, questa cosa della guerra fredda proprio non la sapevo, è il Picchio Russo.

Sergio Pilu – Sì.

Strelnik – Il …

Sergio Pilu – Woodpecker, sì.

Strelnik – Ce la racconta un po’, come ultima cosa, la base di Duga…

Sergio Pilu – Allora, la storia è molto semplice. In realtà l’Ucraina era una sorta di luogo diciamo abbastanza di frontiera, nel senso che non era Russia profonda e non era nemmeno troppo vicina alla… diciamo alla linea di confine del Patto di Varsavia, per cui era un posto molto buono per fare osservazione, e avevano costruito… hanno costruito questi due enormi radar…, adesso uno dice “radar” e si immagina tipo l’antenna che uno mette sul balcone. No. È un radar di… non mi ricordo se sette o nove ettari ciascuno, cioè messo in piedi – sta in piedi – è una cosa gigantesca, lunga tipo 700 metri, alta 140, cioè una cosa folle. Uno, che stava a una sessantina di chilometri dalla zona di Chernobyl, serviva per mandare il segnale verso l’Europa occidentale, e quello di Duga – cioè quello che abbiamo visto noi, quello più vicino a Chernobyl – serviva invece per riceverlo. Se loro notavano delle anomalie nel segnale, o quelle che ritenevano delle anomalie, significava secondo loro che in Europa occidentale c’erano degli spostamenti, che potevano essere spostamenti di missili, di aerei… Chiaramente la cosa era opportunamente studiata. Naturalmente queste erano delle cose off limits, totalmente top secret, e il radar è la cosa più evidente, ma se uno va a googlare e cerca “radar Duga” ci sono tutte le foto e i video del mondo e si capisce un po’ di cos’era. Ma c’era una città nascosta, totalmente off limits, di 1500 abitanti, che era composta… che era abitata dai militari della base con le loro famiglie, e dovevano restare nascosti, quindi era una microcittà, un paesino, che doveva avere tutto al suo interno, in modo tale da impedire che non soltanto qualcuno ci entrasse di non autorizzato, ma che quelli che stavano dentro avessero bisogno di andare fuori; per cui uno, se la gira dentro, naturalmente in tutta la devastazione che si può trovare, trova le palestre, trova la scuola… Uno gira nella scuola e trova gli spartiti dei grandi musicisti russi attaccati agli armadietti; la palestra, cucine… cioè tutto quello che può servire…

Strelnik – I teatri, mi sembra…

Sergio Pilu – Il teatro, sala di musica, le sale ovviamente poi di istruzione… Insomma, qualsiasi cosa uno si possa immaginare in un paesino di 4–5000 abitanti, e lì erano in 1500 però di livello tecnologico tra l’altro molto elevato. E la cosa fantastica è che si è scoperto che il segnale del radar è andato avanti per anni, quindi questo significa che questa gente ben dopo l’esplosione, un po’ per difendere la base, un po’ per evitarne il saccheggio – cosa che però non sono riusciti a impedire – un po’ per saccheggiarla a propria volta, fino a che poi, a un certo punto han detto “vabbè, ma noi…”, quando si è dissolta l’Unione Sovietica hanno preso e se ne sono andati definitivamente. E quindi uno gira…, in realtà ci sono le città come Pripyat e città fantasma, c’è questa città militare fantasma con il radar di Duga. Posso dire, io nei miei viaggi… Lei citava molto carinamente i miei viaggi precedenti; io ho visto La Grande Muraglia, sono stato sulla Grande Muraglia cinese, e i il radar di Duga è una cosa che insieme alla Grande Muraglia cinese più mi ha fatto impressione in tutta la mia vita.

Strelnik – Chissà se si vede dalla Luna anche quello, forse no.

Sergio Pilu – Con le lucine… Se gli mettono le lucine…

Strelnik – Se gli mettono le lucine, sì.

Sergio Pilu – È sufficientemente grosso da farlo vedere. L’ultima cosa che…, le rubo l’ultimo minuto perché siamo partiti parlando di blog e io, come ho scritto diverse volte, sono tutt’altro che uno scrittore professionista, sono totalmente autodidatta, ho fatto l’Istituto Tecnico poi, nemmeno,.. ho fatto l’Istituto Tecnico e poi ho fatto la Bocconi, che, voglio dire, non è esattamente che…

Strelnik – Bellissimo.

Sergio Pilu – Quindi, cioè proprio… ce le ho tutte, e quindi l’unica scuola di scrittura è stato il blog; non tanto il mio, cioè, voglio dire, io lì ho fatto pratica, però, come è successo per tutti noi che abbiamo vissuto un po’ quel periodo lì, lì ho fatto pratica per scrivere e ho imparato leggendo gli altri, che poi alla fine così succede, no? Da lì ho provato un po’ a prendere… ho creduto di avere la mano per poter fare…, per provare, perché poi i risultati vengono giudicati evidentemente dagli altri. Quindi, “Zona di alienazione” è venuto fuori così ed ha veramente…, se uno lo legge – lei l’ha letto – c’ha proprio la struttura del blog – pezzi corti o relativamente corti, da post, uno collegato all’altro, eccetera – e “Il tunnel” è qualcosa… è più lungo, è più… è un po’ più complesso, ci ho lavorato e studiato sopra diversamente. Detto così…, vede come recito bene? Sembra una cosa seria, eh?

Strelnik – No, no, ma io son sicuro che è così. No, no, non è una recita.

Sergio Pilu – Appunto, è un passo… per me è stato un passo avanti, perché veramente è proprio una soddisfazione quello di arrivare alla fine e di dire “ce l’ho fatta”. Poi, ripeto, il giudizio sta ad altri.

Strelnik – Grazie ancora.

Sergio Pilu – Grazie.

Strelnik – Ci risentiamo… speriamo presto, eh, non facciamo passare tutti questi anni.

Sergio Pilu – No, che sono stati troppi, decisamente.

Strelnik – Troppi.

[musica] Sudden Retropia | di Martijn de Boer (NiGiD)

Strelnik – La puntata numero quattro si avvia dunque alla sua conclusione.

[suono] Data signal

Davide Carbonai – Strelnik? Strelnik.

Strelnik – O Davide…

Davide Carbonai – Son Carbonai. Ho provato a chiamarti, ho provato però… cioè ci sta un casino, c’è questo suono, l’è un suono continuo: fa tuc, tuc, tuc, tuc… cioè, non riuscivo a sentirti. Cioè, l’è come quando tu metti la carta nei raggi della bicicletta, con la molletta quando s’era bambini. C’è questo casino, tuc, tuc, tuc…

Strelnik – Ma è, è.. è il Picchio russo! È spento dal… Ma scusa il Picchio russo è spento, il segnale radar da… da Duga, è spento dal 1989.

Davide Carbonai – No, sì, vabbé potrebbe, in futuro magari lo spengeranno, sì. Non è che è spento, in futuro, magari. Non si sa che succederà nel futuro. Nel 1989, tra qualche anno, lo spengeranno.

Strelnik – Tra qualche anno? Ma scusa, ma te in che tempo sei?

Davide Carbonai – Oh Strelnik, in che tempo siamo? E manca ancora qualche annetto al 1989.

Strelnik – No, il cronosisma…